Raffaele Volpi (foto LaPresse)

Volpi del Parlamento

Valerio Valentini

Il centrodestra trova la sintesi sul Copasir, i follower di Conte tremano, i dissidenti grillini vanno in pizzeria

Roma. I colleghi deputati, non solo della Lega, gli si avvicinano e gli stringono la mano: “Sarebbe bellissimo”. E Raffaele Volpi, seduto su una panchina del cortile di Montecitorio, si schermisce: “Ancora non mi fanno sapere per chi devo votare”, dice, da vecchio democristiano, in un sussulto di garbo doroteo. E il suo understatement sembrerebbe credibile, se non fosse che proprio in quell’istante arriva Nicola Molteni a fendere la folla dei deputati leghisti che accerchiano l’ex sottosegretario alla Difesa: “Sssh, non parliamo, ché Volpi ci ascolta”. E in effetti nel Carroccio tutti ci sperano, nella promozione del “Fox” – così lo chiamano gli amici più stretti – alla presidenza del Copasir, nel voto di oggi pomeriggio. E a suo favore gioca non solo un profilo da leghista senz’altro immune dalle fregole filoputiniane del Capitano; ma anche una certa confidenza con l’ex presidente del Comitato per la sicurezza della repubblica, quel Lorenzo Guerini divenuto intanto ministro della Difesa. Ma basta poco per capire che tutto è più complesso. Anche perché, mai come stavolta, la guida del Copasir non è solo questione di equilibri parlamentari, ma s’intreccia inevitabilmente al Russiagate e al destino di Giuseppe Conte, che proprio al Copasir dovrà riferire. “E’ una roba enorme”, scuote la testa Giancarlo Giorgetti. “Se avessimo noi il controllo del genio insabbiatore, con quintalate di sabbia si silenzierebbe tutto. Ma ora la vicenda è in mano a New York Times e Washington Post, quindi è tutto imprevedibile”. Dopodiché, a chi gli fa notare una certa timidezza della Lega nel criticare l’operato opaco del premier, l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio allarga le braccia: “Ora, con Volpi alla guida dell’obice del Copasir, magari cominceremo a cannoneggiare”. 

 

 

Ma lo dice, Giorgetti, col sorriso un po’ sornione di chi la dà per chiusa, la partita, già a ora di pranzo. E invece la trattativa sarà ben più tribolata, e ci vorrà un vertice nel tardo pomeriggio per trovare l’intesa. E’ al Senato che Matteo Salvini, accompagnato da Roberto Calderoli, s’incontra con Giorgia Meloni e Ignazio La Russa. Le due delegazioni si confrontano con tono non esattamente amichevole, poi contattano telefonicamente anche Silvio Berlusconi, che nel frattempo è in una dacia di Sochi, ospite di Vladimir Putin. “Abbiamo dato la nostra disponibilità – spiega alla fine La Russa – a ritirare quello che per noi era un candidato naturale, come Adolfo Urso, già vicepresidente del Copasir, in virtù di un’intesa, sia pure di massima, sul percorso futuro e sulle prossime scelte, dalle authority alle regioni”. Al che torna subito a prendere consistenza un’ipotesi che era già circolata nel primo pomeriggio: quando, nel marasma delle contrattazioni frenetiche che a un certo punto, era balenata perfino l’ipotesi di uno scambio clamoroso: il Copasir a Volpi, e la candidatura a presidente dell’Emilia Romagna al meloniano Galeazzo Bignami. Un’idea che però Gianluca Vinci, segretario della Lega in Emilia, al solo sentirsela riferiva giudicava assurda: “Neanche morti. La candidatura della Borgonzoni è intoccabile”. Non è quella, allora, la merce di scambio. “No, sarebbe troppo conflittuale”, dice La Russa, che pure qualche ora prima aveva accolto la suggestione con un “magari” che sembrava di buon auspicio. E invece no.

 

Ma non sono state solo le fibrillazioni interne al centrodestra, a rendere faticosa la mediazione. C’è stato anche il tentativo, da parte del M5s, di sondare le reali intenzioni della Lega. E forse anche per questo, pensando alle possibili insidie che la Lega potrebbe ordire contro Conte, e dunque contro il governo rossogiallo, Luigi Di Maio aveva diramato il suo desiderio: “Un leghista alla presidenza del Copasir? Non è il caso. Meglio un esponente del centrodestra dal profilo moderato”. Ed era bastato questo segnale, arrivato alle orecchie di chi stava all’erta, per riaccendere le speranze di Forza Italia e Fratelli d’Italia. E così, mentre Riccardo Molinari – che ha lasciato il suo seggio nel Copasir proprio a Volpi – improvvisava un vertice coi suoi omologhi Mariastella Gelmini e Francesco Lollobrigida in Transatlantico per trovare un’intesa, Fabio Rampelli sentenzia che “no, noi di FdI non ci pensiamo nemmeno a fare un passo indietro”.

 

Una faida che pareva, in fondo, seguire il canovaccio ideato da Pd e M5s. E infatti i grillini – che pure hanno il loro bel daffare a gestire i dissidi interni, non solo per la scelta dei nuovi capigruppo, e che sotto l’impulso di Giorgio Trizzino stanno organizzando una cena in pizzeria, stasera, per contare i dissidenti – quasi se la ridevano: “Dovremmo essere noi a sbrogliare la matassa del centrodestra? La trovino loro la soluzione”, diceva Angelo Tofalo, sottosegretario alla Difesa che a metà pomeriggio s’incarica di smentire qualsiasi ipotesi di sostegno del M5s a Volpi. E in questa commedia un po’ sbracata, succede che sia proprio Tofalo, cioè uno che proviene da quella Link Campus al centro dei colloqui tra il ministro della Giustizia americano William Barr e i vertici dei servizi segreti, a dettare la linea sulla questione del Copasir. “Sulla Link non dico nulla”, si tira indietro lui. “Il Copasir è solo il giochino intorno a cui si giocano interessi più alti”, dice il sottosegretario all’Interno del M5s, Carlo Sibilia. “E i giochi più alti sono quelli di chi vorrebbe mettere in difficoltà Conte e Vecchione, il capo del Dis. Ma guarda caso proprio oggi è stata depositata la sentenza sul caso Montante”, l’ex responsabile Legalità di Confindustria Sicilia. “E quella sentenza tira in ballo gli avversari di Vecchione, cioè il capo dell’Aisi Mario Parente. E questo, inevitabilmente, rafforza Conte, al di là di chi otterrà la presidenza del Copasir. Anche perché quelli del Carroccio lo sanno bene che non possono fare chissacché, sui quei temi, altrimenti sulla Russia li massacrerebbero”. E il soggetto, quella terza persona plurale, resta così, un po’ indefinito.

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