Il presidente del consiglio Giuseppe Conte con la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen (foto LaPresse)

I tre paletti da rispettare per cambiare le regole fiscali in Europa: ora si può

Pier Carlo Padoan

Trovare il consenso non è semplice ma la strada è chiara: sostituire gli obiettivi di deficit con gli obiettivi di crescita della spesa

I tempi per una revisione delle regole fiscali in Europa stanno maturando. Lo dicono le tre dimensioni di una maturazione del genere: i fatti che rendono necessaria una revisione, i contenuti della revisione, il consenso politico per attuarla. Cominciamo con i fatti. L’economia europea si sta indebolendo. I dati recenti indicano un rischio di recessione, o quantomeno di stagnazione, per più di un paese dell’Eurozona e possibilmente della intera Unione. Ma sembra esserci qualcosa di più di fattori ciclici, per quanto pronunciati, alla base del rallentamento. In Germania la crisi del settore manifatturiero (e in particolare di quello automobilistico) suggerisce che ci si trova di fronte a un indebolimento strutturale dell’economia. E ancora. A dieci anni dallo scoppio della Grande crisi ci si interroga se il comportamento debole delle economie avanzate, e soprattutto di quella europea, non riveli “sintomi di stagnazione secolare”, cioè di una tendenza alla stagnazione di lungo periodo, che potrebbe portare al declino. A sostegno di questa ipotesi, peraltro controversa tra gli economisti, sta l’evidenza di un declino pluridecennale della profittabilità, variamente misurata, dell’economia europea. Declino che si riflette in un indebolimento continuo degli investimenti. Quale che sia la teoria più adatta, rimane il fatto che in Europa c’è un problema di crescita e, di conseguenza c’è un problema di occupazione e di sostenibilità sociale (oltre che finanziaria). Veniamo alle politiche necessarie per fronteggiare la situazione e, auspicabilmente, far riprendere la crescita.

 

Lo ha ripetuto, in modo molto chiaro il Presidente della Bce. La politica monetaria, che in dieci anni dallo scoppio della crisi ha attraversato un processo di trasformazione e di innovazione senza precedenti, non è più in grado, da sola, di sostenere l’economia e raggiungere quell’obiettivo di inflazione, il due per cento, ritenuto fisiologico per il buon funzionamento del sistema, oltre che contribuire al sostegno della crescita. Va poi aggiunto che, in una situazione di stagnazione, i limiti oltre i quali i tassi di interesse non possono scendere indeboliscono ulteriormente l’efficacia della politica monetaria. Per questo Draghi da tempo insiste sulla necessità che i paesi membri mattano in atto delle politiche strutturali, sul mercato del lavoro, dei prodotti e su quei fattori che incidono sulla propensione all’investimento, dalla giustizia civile, alla pubblica amministrazione, al sistema educativo e della ricerca. Un miglior funzionamento dei mercati li rende più reattivi agli stimoli della politica monetaria. Un miglior funzionamento delle condizioni di contorno per gli investimenti si traduce (qui c’è evidenza abbondantissima) in accelerazione della produttività e della crescita.

 

Ma Draghi (e non solo lui) ha anche detto che di fronte all’inefficacia della politica monetaria occorre un sostegno aggiuntivo da parte della politica fiscale, almeno in quei paesi dove c’è spazio di bilancio. Per riassumere. Di fronte al serio indebolimento dell’economia europea occorre un altrettanto serio ripensamento della strategia per la crescita, compresa la politica fiscale. Ripensare la politica fiscale in Europa richiede un’azione a due livelli: nazionale e comunitario. A livello di stati membri bisogna riconsiderare le regole per renderle più semplici ma anche tali da sostenere meglio la crescita. Il dibattito si dovrebbe aprire rapidamente. Un buon punto di partenza è il recente rapporto dello European Fiscal Board che prevede la sostituzione degli obiettivi di deficit con obiettivi di crescita della spesa (magari aggiustata per tener conto degli investimenti per l’ambiente) e un’enfasi sulla riduzione del debito. Nel frattempo (perché ci vorrà del tempo per cambiare le regole) il patto di stabilità e crescita dovrebbe essere applicato utilizzando il massimo della flessibilità prevista dalle regole.

 

A livello comunitario l’Europa si deve dotare di una capacità fiscale autonoma. Qualche passo avanti è stato fatto con la attivazione di un sostegno fiscale (“fiscal backstop”) al Fondo di risoluzione, e con il dibattito sulla modifica del bilancio comunitario, che prevede risorse per sostenere la competitività e la convergenza delle economie europee. Manca però la funzione fondamentale, quella della stabilizzazione. Funzione che potrebbe prendere la forma di un meccanismo di assicurazione contro la disoccupazione ciclica secondo una proposta già avanzata dal governo italiano nella precedente legislatura e ripresa dalla presidente Von der Leyen nel suo discorso di insediamento. Insomma ci sono le premesse per poter introdurre una “fiscal stance” (un’azione di politica di bilancio autonoma) che si affianchi alla “monetary stance” della Bce.

 

Veniamo ora all’aspetto più problematico: la costruzione del consenso necessario per fare significativi passi avanti sulle regole fiscali. E’ nota la geografia del consenso. La gran parte dei paesi del nord Europa, i Paesi baltici, e quelli dell’Europa centro-orientale sono per il rigore fiscale e per il mantenimento delle regole così come sono. La gran parte dei paesi del sud sono a favore di un ripensamento delle regole. La Francia è da sempre a favore di una maggiore integrazione fiscale. La Germania è a favore del rigore ma le difficoltà in cui si trova la sua economia potrebbero far cambiare idea al governo di Berlino, anche tenendo conto della pressione da parte della industria tedesca per una maggiore spesa per investimenti pubblici. Il recente annuncio da parte della signora Merkel di un piano per investimenti per un totale di 100 miliardi in favore della sostenibilità ambientale sembra indicare un mutamento di rotta. Mutamento di rotta che sarebbe comunque totalmente giustificato visto che il bilancio pubblico tedesco è in surplus e il debito è sotto la soglia del 60 per cento. Sarà sufficiente un diverso atteggiamento tedesco, ammesso che ci sia effettivamente, a far cambiare idea anche ai piccoli, ma numerosi, paesi rigoristi? La partita politica si giocherà nei prossimi mesi, quando la nuova Commissione sarà insediata (Ma si sta già giocando ora).

 

Un risultato positivo non è scontato. Va ricordato che ogni cambiamento di regole in Europa ha richiesto, in passato, che ci fosse sufficiente fiducia reciproca per cambiarle. La fiducia reciproca si genera se ogni paese, indipendentemente dalle sue preferenze nazionali, si comporta rispettando le regole in vigore. Una ragione in più per evitare, come fortunatamente sta facendo l’Italia, l’isolamento politico in Europa dopo che il governo gialloverde ci aveva portato ai margini dell’Unione.