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Parrini (Pd) spiega perché la prossima legge elettorale conviene anche a FI

David Allegranti

Come fa un partito affezionato al maggioritario a lavorare a una buona legge proporzionale? Intervista al senatore dem

Roma. E’ sempre stato un sostenitore del maggioritario. Adesso però le condizioni sono cambiate, dice il senatore Dario Parrini. Martedì era anche lui alla riunione con i capigruppo di Camera e Senato e il responsabile Riforme del Pd Andrea Giorgis per lavorare alla nuova legge elettorale. Perché, proprio adesso, la legge proporzionale? “Abbiamo fatto un accordo di governo col M5s per contrastare l’emergenza democratica e economica creata dal blitz plebiscitario di Salvini. Uno dei punti essenziali di quell’accordo è la riduzione del numero dei parlamentari prevista dalla riforma costituzionale già votata due volte al Senato e una volta alla Camera. All’interno del Pd ne discuteremo nelle sedi appropriate e assumeremo decisioni. La mia personale opinione è che la correzione in senso proporzionale della legge elettorale attuale, attraverso la semplice eliminazione dal sistema della componente uninominale, sia conseguenza inevitabile di quell’accordo”.

 

In che senso? “Nel senso che è indispensabile per evitare che un minor numero di eligendi, combinato con i collegi uninominali, porti a compressioni antidemocratiche e insensate della rappresentanza in diverse regioni del nostro paese”. Semmai, dice Parrini, “la riflessione da fare è un’altra: posto che nelle condizioni date non c’è alcuna alternativa sostenibile al ritorno del proporzionale, come si può dare ad esso un’impronta stabilizzante e razionalizzante? La mia personale risposta è: in primo luogo con un’adeguata soglia di sbarramento, più alta di quella attuale, che è al 3 per cento. In tal modo potremmo persino scoprire una cosa che è ovvia per chi si intende della materia, e cioè che con un sistema senza eccessi disrappresentativi, qual è il proporzionale con appropriata barriera d’accesso, si può avere persino una disproporzionalità maggiore di quella generata dalla Legge Rosato: alla Camera, nel 2018, la disproporzionalità, cioè l’effetto maggioritario, è stato minimo: 4,5 punti per il Centrodestra (che ha preso il 41,5 per cento dei seggi col 37 per cento dei voti) e 3,2 punti per Cinque Stelle (che hanno ottenuto il 35,9 per cento dei seggi col 32,7 per cento dei voti). Con un proporzionale dotato di sbarramento al 5 per cento l’effetto maggioritario sarebbe stato uguale o persino superiore”.

 

Che cosa dire, da storico sostenitore del maggioritario, ai sostenitori del maggioritario? “Che tra il desiderabile e il possibile c’è differenza. Bisogna mettere da parte l’accademia e essere concreti. Oggi, con questa maggioranza e questo governo, e in queste circostanze, la miglior soluzione possibile, e sottolineo possibile, è il proporzionale con le correzioni poc’anzi ricordate. Vede, dal 1993, da quando seguivo le lezioni di Sartori alla Cesare Alfieri, io sono per l’adozione in Italia del sistema istituzionale e elettorale francese. E con me tanti altri. Ma una maggioranza parlamentare favorevole a tale sistema in questi 26 anni non c’è mai stata. Se n’è palesata una per un sistema simile (il ballottaggio nazionale) nel 2015-16. Ne fummo entusiasti. Ma sappiamo cosa è dolorosamente successo dopo il referendum del 4 dicembre”. Non c’è il rischio che cambino maggioranze di governo ogni sei mesi? “Se si segue la strada che ho indicato, no”. Il taglio del numero di parlamentari senza una riforma complessiva può produrre distorsioni? “Sì. E vanno corrette, come si dice chiaramente nel programma concordato dalle forze della nuova maggioranza. Alcune distorsioni sono correggibili con la riforma elettorale proporzionale. Altre richiedono microriforme dei Regolamenti Parlamentari e della Costituzione (a puro titolo esemplificativo, l’adeguamento del numero dei delegati regionali per l’elezione del Capo dello Stato, la partecipazione di rappresentanti delle Regioni alle sedute del Senato dedicate a provvedimenti sulle autonomie locali, la parificazione dell'elettorato passivo e attivo delle due camere)”. Forza Italia si è detta interessata al proporzionale. Secondo lei perché? “Per un motivo che a me pare evidente: oggi l’affrancamento da Salvini è per Forza Italia una questione vitale. Col proporzionale, che non la obbliga a partecipare a coalizioni pre-elettorali, la ‘liberazione’ dalla subalternità a Salvini è possibile. Coi collegi uninominali, o con sistemi maggioritari a premio di coalizione, sarebbe di fatto impossibile: in quel caso per il partito di Berlusconi autonomia significherebbe quasi eutanasia”.

 

La legge proporzionale potrebbe favorire la nascita di gruppi renziani? Nel caso, che ne pensa dell’ipotesi? “Non corro per principio dietro ai retroscena. Men che meno baso sui retroscena le mie riflessioni sul sistema istituzionale. Stiamo ai fatti: il principale dei quali è che il Pd ha potuto dare a Salvini la lezione che la sua prepotenza meritava perché è stato unito. E Renzi è stato uno dei protagonisti di questa strategia e del gioco di squadra grazie al quale si è affermata. Io continuo a lavorare per l’unità del Pd e perché a questo governo non venga mai a mancare la forza per realizzare i provvedimenti economici e sociali attesi da milioni di italiani”.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.