Matteo Salvini (foto LaPresse)

Matteo come l'altro Matteo. Ci vuol tempo per guarire dal rancore e crescere

Maurizio Crippa

Salvini nella sua cameretta, a rendersi conto di perché è finita

Se Oliver e Barbara Rose non fossero caduti da un lampadario trent’anni fa, nel 1989 fatidico non soltanto per loro, forse starebbero ancora litigando, con gli acciacchi le pastiglie e la dentiera. Gli amori traditi non finiscono mai. O almeno hanno tempi di decantazione lunghetti, in media più lunghi dei ritmi stretti e ansiogeni della cronaca politica. Quella che si chiede, e già non ne può più: ma ancora Salvini la mena con le elezioni scippate? Ci vuole pazienza e tatto, con le convalescenze. Matteo Salvini non ha ancora superato il primo step post trauma, quello in cui, in un incubo irreale, sembra di stare ancora abitando le coordinate spaziotemporali di un attimo prima. Di un attimo prima dell’incidente fatale. Grida contro i traditori, grida “poltronari vi manderemo a casa”. I ladri di elezioni. “In Parlamento si distinguono coloro che hanno a cuore le poltrone e coloro che hanno a cuore il Futuro (maiuscolo, sic) degli italiani”. Impreca nel delirio del dormiveglia: “Possono rinchiudersi nei palazzi ma alla fine vince la vita vera”. Ancora ieri twittava: “Alleati con quelli che fino a luglio erano ‘miserabili pagliacci’. Grande dignità umana e solido spessore politico. Li manderemo a casa”.

 

La vita vera, già. E’ uno choc risvegliarsi in una cameretta di Milano, anziché su un lettino di Milano Marittima. Claudio Velardi, da vecchia volpe della politica, ha cinguettato: “Ora, mettendo nel mirino @GiuseppeConteIT, @matteosalvinimi sta compiendo un altro errore strategico. Mostra solo risentimento, non capacità di leadership. Peccato per lui”. Certo, ma non è facile. E la vecchia volpe Velardi dovrebbe ricordare che ce n’è un altro di Matteo che ci ha messo molto a leccarsi le ferite, a uscire dal risentimento e a smetterla di fare errori strategici. Tre anni, mica poco. In cui Renzi ha passato il tempo a scrivere libri su “altre strade” e Italie immaginarie come una route sentimentale degli scout, e nel tempo libero a seminare rancori contro i suoi molti o presunti Giuda, contro gli italiani che avevano sbagliato a votare (brutta idea, dare del pirla agli elettori), contro i rottami che non si erano lasciati rottamare. Ci vuole tempo per ricominciare. Per uscire dall’ingessatura dell’involuzione con una nuova armatura e una nuova personalità. Ora Renzi, con scelte di tempo da fuoriclasse, è tornato sulla scena con l’acquisito cinismo di un Segretario Fiorentino e con un colpo di lancia ne ha infilzati due: l’altro Matteo e Nicola Zingaretti. Anzi tre, perché ora Luigi Di Maio ce l’ha a rosolare sullo spiedo.

 

Diversamente da Oliver Rose, Matteo Salvini dal lampadario è caduto da solo. Fortunatamente gli è andata meglio, ma la riabilitazione richiede calma. C’è un primo momento difficile, in cui l’amore si riversa in odio, ed è questo. Anche se Salvini, che ama la famiglia tradizionale, dovrebbe almeno decidere quale dei due ex odia di più: Beppe Conte, o il gemello diverso Giggino? Poi ci vuole un luogo, una cuccia dove rintanarsi con le proprie amarezze. Un posto rassicurante, una cameretta da adolescenti. E questa, forse, Salvini l’ha già trovata, basta che prenda coscienza di dov’è e scacci la sensazione di essere ancora al Viminale. E’ tornato nella sua dimensione naturale, da leghista di piazza, quella dell’agit-prop d’opposizione svelto di lingua ma senza conti da pagare. Il ragazzo padano che domenica andrà a casa dei suoi, sul pratone di Pontida, a urlare slogan e cantare inni in libertà. Poi ci vorrebbe il passo della vera guarigione, quando avrà riconquistato il senso di realtà e avrà ammesso, per prima cosa con se stesso (passaggio dall’adolescenza all’età adulta), che non gli hanno fatto torto, che avevano ragione gli altri, quelli che adesso chiama nemici e traditori: e invece hanno capito prima di lui com’è la politica con le sue regole. Allora uscirà dalla cameretta. E forse non sarà mai un segretario Florentin. Ma almeno la pianterà di essere il Capitano di una squadra di scalmanati e diventerà un normale segretario di un partito.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"