Il nemico necessario

Salvatore Merlo

Renzi e Salvini: avversari eppure alleati in un medesimo codice, in un comune segreto di rappresentazione

Roma. Quando ha dovuto scegliere una data per la sua manifestazione contro il governo, Matteo Salvini ha pescato dal calendario il 19 ottobre, guarda caso proprio il giorno nel quale Matteo Renzi ad aprile aveva già annunciato di voler tenere la sua manifestazione alla Leopolda di Firenze. E quando Renzi, seduto sulla poltroncina di Bruno Vespa, lo ha sfidato a un confronto televisivo, con parole che ammiccavano e davano di gomito, allora Salvini – perfetto compare – gli ha subito risposto: “Affare fatto”. E può darsi che un dibattito televisivo alla fine non si faccia, i leghisti d’altra parte sconsigliano Salvini, chissà. Ma è ormai abbastanza chiaro che i due vorrebbero scegliersi, essere destinati a combattersi come i duellanti di Conrad, quelli che nel racconto sono l’articolazione di un unico protagonista, ciascuno in guerra con il proprio doppio e dunque complici come il caldo con il freddo, il nord con il sud, la luna con il sole.

  

E infatti il milanese, ad agosto, baciava il crocifisso nell’Aula del Senato, brandiva l’oggetto di culto ma anche l’oggetto di scena estetica integrata al populismo, mentre Renzi subito dopo sfoderava con simbologia accordata a quella dell’avversario il Vangelo (secondo Matteo, ovviamente): “Se credi in quei valori fai sbarcare i migranti”. L’uno l’opposto dell’altro, la chiusura contro l’apertura, il destrorso e il liberal, il putinista e il blairiano, entrambi sanno bene che la loro guerra significa l’oscuramento di Zingaretti e Berlusconi, di Meloni e di Conte, che sono adesso gli attori più vivi sul proscenio. Così nei loro rapporti c’è forse qualcosa di nemico e ancora di complice, negli occhi, nei gesti, che li rivelano avversari eppure alleati in un medesimo codice, legati a identici segreti di trucco, a paralleli sortilegi di rappresentazione.

   

Ed è come se entrambi, così diversi eppure così simili, sentissero il bisogno attorno a loro d’un tempo sforzato, di vivere sopra il rigo, una vita cantabile. Il leghista è un immoderato che urla e si fa nemici ovunque, tanto da essere stato espulso dal governo e dal consesso democratico-parlamentare europeo come un calcolo ai reni. Mentre il fiorentino è ancora il bullo della rottamazione, che insiste con le spallate, e infatti si è adesso lanciato con spontaneità di ariete in una scissione acrobatica e perigliosa. Il gioco a tombola della loro vita oscilla fra contrattempi e incastri senza numero. L’uno è gonfio di sondaggi e piazze plaudenti, ma è altrettanto inconcludente, goffo e parodisticamente autolesionista nella manovra politica, al punto da aver aperto una crisi ad agosto, e per giunta da una spiaggia, invocando i pieni poteri senza però avere né i numeri né le alleanze in Parlamento. L’altro, refrattario al capriccioso comportamento delle percentuali elettorali, alle ormai deludenti mattane dei numeri e del consenso, si è invece dimostrato un maghetto della manovra, e con una capriola stordente si è trasformato in un attore politico sulla scena della maggioranza rossogialla.

 

Entrambi centrali, dunque, eppure laterali. Protagonisti, ma anche ammaccati, tutti e due in cerca dell’idea, della sfera, dell’oggetto che possa nutrire e riattivare le loro speranze e ambizioni: ci vorrebbe un nemico. Un antagonista dall’aria intima e collaborativa, per scrollarsi di dosso il torpore imposto alla politica da Sergio Mattarella e Dario Franceschini. E allora eccoli, eccoli che si ficcano l’un l’altro i gomiti nei fianchi. Non ci sono iniziatiche allusioni, indecifrabili perifrasi, contorte reticenze, ma: “Vendutello hai paura”, gli dice Salvini. E Renzi: “Lascia perdere i mojito”. Per entrambi ogni spicciolo atto dello stare in politica è da sempre un improbo corpo a corpo, un cimento e un combattimento mortale. Sono l’uno l’opposto dell’altro, forse l’uno l’incubo dell’altro, ma sanno anche di poter dare il meglio di sé nella contrapposizione dura e di tipo di personale. Così ogni giorno sarà una purga, ogni giorno si inizierà un duello e se ne concluderà un altro, e che vadano o no da Bruno Vespa in realtà cambia poco. Renzi una volta lo ha persino confessato pubblicamente: “Salvini mi telefonò, dopo la mia sconfitta al referendum costituzionale, e mi disse: mi piacerebbe un giorno incrociare le lame con te”. Ettore e Achille, l’Asia e la Grecia, il cavaliere bianco e il cavaliere nero. E l’inimicizia diventa così un istintivo accordo ordinato agli scopi dell’azione, un proficuo adattarsi tra loro di certe concordanze e necessità della vita politica. Chi siano i nemici ha scarsa importanza: conta che si creda nel loro monopolio del male, un monopolio ferreo eppure non indistruttibile. Nell’avversario ci si specchia. E specchiandovisi, si esiste.

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