Virginia Raggi, sindaco di Roma (foto LaPresse)

Da reietta a erede del nuovo equilibrio rossogiallo. Parabola di Virginia Raggi

Marianna Rizzini

Il sindaco porta la delegazione Malaysiana a vedere le macchinette mangiaplastica, godendosi lo spegnimento dei riflettori sul disastro-Roma

Roma caput mundi, ma per che cosa? A sentire il sindaco Virginia Raggi, la grandeur affonda talvolta nelle piccole cose. “Stamattina sono stata alla stazione metro S. Giovanni insieme a una delegazione dello Stato federale della Malacca (Malaysia) per far vedere loro la macchinetta mangiaplastica. Roma si dimostra ancora una volta protagonista ed esempio di buone pratiche a livello internazionale”, scriveva infatti ieri il sindaco (e pazienza se in Malesia il riciclo non è questo sconosciuto). E si capisce che il primo cittadino sia orgoglioso per l’iniziativa ecologica sulle bottiglie (vuoti resi in cambio di biglietti gratis), e si capisce che voglia ben figurare con i colleghi del lontano Oriente, ma si capisce anche un’altra cosa: Virginia Raggi, che fino a un mese fa, prima della crisi politica nazionale d’agosto, era collocata sulla linea del fronte governativo gialloverde e non, visti gli spunti polemici che offrivano un giorno sì e l’altro pure le sue azioni e inazioni, oggi pare muoversi con l’aria sollevata di chi pensa che le cose stiano andando, per paradosso e per eterogenesi dei fini, un po’ meglio del previsto, ché uno dei primi effetti del cambio di governo è proprio lo spegnimento dei riflettori sul disastro-Roma.

 

Se è vero infatti che la battaglia sui cosiddetti “superpoteri” al sindaco, con richiesta di fondi extra per quasi due miliardi, sarà sul tavolo del Pd (il neoministro per gli Affari regionali Francesco Boccia gestirà il dossier Roma), è anche vero che il parziale risveglio dell’opposizione al sindaco che si cominciava a vedere a Roma rischia di trasformarsi in letargo forzato dopo l’insediamento del giallorosso Conte Bis. Come si potrà, infatti, dare addosso quotidianamente ai Cinque stelle a Roma, quando Cinque stelle e Pd devono sforzarsi di trovare almeno all’inizio un lessico “mite” (Giuseppe Conte dixit), e prima di tutto nei rapporti tra nuovi alleati? E come ci si potrà lanciare con entusiasmo polemico nella lotta per il Campidoglio post Raggi (il mandato del sindaco grillino scade nel 2021), quando lo stesso obbligo di mitezza sarà stato forse già trasformato in desistenza o addirittura accordo (si vedrà nelle prossime settimane), prima e dopo le elezioni regionali in Emilia-Romagna e Umbria? Se non sarà danno sarà forse beffa, per l’opposizione di centrosinistra, trovarsi da un giorno all’altro nello scomodo ruolo del pianoforte silenziato: puoi suonare, ma non troppo forte, pena il crollo del non granitico castello Di Maio-Zingaretti. E i problemi di Roma – rifiuti, trasporti, case, lavoro, degrado – problemi per i quali la giunta Raggi è diventata via via tristemente famosa persino all’estero, per non dire nell’aula comunale Giulio Cesare? C’è il rischio che diventino pane esclusivo del Salvini in cerca di ripartenza.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.