Il patto Pd-M5s offre spazi a una nuova destra
Con il sovranismo non si vince e non si governa. L'appello di Mara Carfagna
La nuova alleanza tra Cinque Stelle e sinistre segna molto di più dell’avvio di una nuova formula di governo. Segna un passaggio politico che va capito in tutta la sua ampiezza, soprattutto a destra. Le scelte della Lega, e specialmente la sua rincorsa al M5s negli ultimi giorni prima dell’incarico a Giuseppe Conte, contengono un messaggio inequivocabile. La formula che ha garantito al centrodestra un ruolo nella politica nazionale dal ’94 a oggi è finita. Sopravvive sui territori, ma per un motivo molto semplice. Negli enti locali e nelle Regioni esiste una Lega diversa, più pragmatica e realista di quella che abbiamo visto a livello nazionale. Quella Lega che, se fosse prevalsa anche a livello nazionale, non avrebbe mandato in frantumi l’alleanza storica, consegnando il Paese alla sinistra.
La domanda “E ora, che facciamo?” ha costellato gli ultimi dodici mesi di vita della destra non-sovranista. Una parte della classe dirigente ha risposto nel modo più semplice, producendosi in un rosario di appelli a Matteo Salvini perché tornasse indietro. Tutti respinti senza eccezioni, talvolta in modo urticante e sgradevole. Compresi gli ultimi, quelli pronunciati a crisi già aperta, quando la ricomposizione del centrodestra sembrava a portata di mano. Non lo era e non lo è, se non si cambia paradigma, come ha dimostrato tra l'altro la "rivelazione" dell'offerta di premiership rivolta da Salvini a Di Maio. La destra sovranista ha fatto scelte di campo che costituiscono una rottura radicale con il modello di centrodestra liberale maggioritario nel Paese fino al 2018. Si è collocata contro l’Europa. In posizione ambigua rispetto agli Usa e all’alleanza occidentale. In politica economica ha avallato scelte assistenzialiste e improduttive e coltivato nicchie elettorali (vedi Quota 100) piuttosto che una visione di sviluppo all’altezza delle sfide del momento. Ha spaccato la società italiana con messaggi d’odio. Ha sdoganato sentimenti xenofobi che confinano col razzismo. Ha diffuso messaggi destabilizzanti e paure, trasformando in emergenza ansiogena il problema dell’immigrazione anziché affrontarlo in sede europea per cambiare le regole e mettere in sicurezza il Paese.
La destra repubblicana e liberale ha pagato un prezzo altissimo al tentativo di restare politicamente collegata a questa narrazione. Prezzo elettorale: una costante emorragia di voti. Prezzo politico: l’irrilevanza nelle scelte per il governo del Paese sia quando “comandava” il sovranismo sia dopo la crisi, con le sinistre di nuovo protagoniste. Prezzo reputazionale: l’elettorato ci vede come ruote di scorta di decisioni prese da altri. Prezzo negli equilibri interni: due terzi degli eletti e dei dirigenti si stanno guardando intorno per cercare altri riferimenti.
Per queste ragioni sono convinta che sia il momento di trovare una risposta nuova alla vecchia domanda “E adesso che facciamo?”. Mi ha confortato ascoltare le parole di Silvio Berlusconi al termine delle consultazioni, con la sua decisa apertura a una nuova linea politica.
Con il sovranismo si conquistano voti, ma non si vince e soprattutto non si governa.
Il sovranismo è un’illusione perché la battaglia per l’Italia si combatte stringendo alleanze, non distruggendole: cominciamo a dirlo. Il populismo non offre soluzioni ma solo sfogo alla rabbia delle persone. Lo scontro settario con gli avversari, la perenne ricerca di un nemico, di ciò che divide anziché di ciò che unisce, la dicotomia tra buonismo e cattivismo sono l’esatto contrario della politica, che è l’arte di rendere armonica, sicura, felice, la Polis.
Liberiamoci dai complessi di inferiorità. Usciamo dalla gabbia che ci hanno costruito intorno i nostri alleati con la collaborazione – spiace dirlo – dei filo-sovranisti a oltranza di casa nostra che, persino davanti al tracollo dei sondaggi (dal 14 per cento di un anno e mezzo fa all’attuale 6 per cento), hanno ostinatamente rifiutato di riconsiderare la linea del vassallaggio alla Lega. Recuperiamo una visione autonoma, riprendiamo a fare politica e a raccontare l’Italia che vorremmo: un Paese libero dalle ansie dell’impoverimento e dall’incertezza del futuro che dilagano nel ceto medio, un Paese europeo nel senso migliore – buoni salari, meno tasse, servizi all’altezza delle tasse che si pagano – e amico delle categorie dimenticate dalla narrazione dell’“uomo forte”, il Sud, le competenze, le donne, i moltissimi italiani che hanno ancora l’ottimismo e la forza di investire e intraprendere. Ma, soprattutto, prendiamo atto della realtà.
E’ finita una stagione, e non è più possibile cullarsi nella nostalgia dei bei tempi andati, coltivando l'idea impossibile di restaurarli. Dobbiamo cominciare a immaginare uno schieramento capace di competere e vincere nel quadro di un nuovo bipolarismo, che vedrà Pd e Cinquestelle uniti sul “fronte sinistro” della politica italiana. Re-inventare il centrodestra deve essere la nostra priorità: possiamo farlo se sapremo aprirci e presentare alle forze moderate, popolari e liberali e ai settori più responsabili e “adulti” della Lega un progetto nuovo e di lungo periodo. Passata l’ubriacatura sovranista che ha consegnato il Paese alle sinistre, penso che ci sia spazio per ricostruire l’unico centrodestra che può governare il Paese: riformatore, alternativo alle burocrazie parassitarie, capace di parlare al Nord e al Sud con la stessa efficacia e di valorizzare i territori senza lasciare nessuno indietro, forte in Europa e in grado di orientare le scelte dell’Unione. Un centrodestra popolare, liberale, europeista, garantista, che non aspiri solo a cavalcare i sondaggi, ma sappia trovare la strada per tornare al governo e determinare il futuro italiano.