foto LaPresse

La crisi di governo manda in crisi anche la Rai sovranista

Carmelo Caruso

A piazza Mazzini sono tutti sul chivalà e sono finite le spavalderie. Il destino del presidente imposto da Salvini

C’è un nuovo governo da formare, ma c’è anche una nuova Rai da ricostruire. Riformarla (ancora?) è da ieri anche uno dei dieci punti che Luigi Di Maio ha indicato al Pd: “Il nostro modello è la Bbc”. E dunque, come accade in queste ore al Quirinale, anche a Viale Mazzini evaporano già nomi, si sceglie la nuova vernice, si prepara la tribuna per assistere alla caduta del sovranismo televisivo che oggi tutti rinnegano e allontanano. In commissione Vigilanza, il membro della Lega, Massimiliano Capitanio, è già pronto per quello che la sua fiducia nella democrazia gli fa credere essere “un leggero peggioramento”, ma che sa potrebbe tradursi in uno sfratto catodico. “Diciamo che la corsa a una nuova occupazione della Rai non ci stupirebbe, ma se lo facessero sarebbe una dimostrazione di mancanza di rispetto istituzionale”. Improvvisamente, torna di moda il galateo e allora, precisa sempre Capitanio, “immagino che in commissione Vigilanza saranno riassegnate le vicepresidenze che in questo momento sono nella disponibilità di M5s e Pd”.

 

E la Rai, la sua guida? Nella disponibilità di chi è? “Credo che l’amministratore delegato Fabrizio Salini non rischi dato che non dispiace al Pd. Anzi, mi sembra che abbia assecondato, per altro in maniera legittima, organigrammi che non profumavano centrodestra. I desiderata del Pd erano già stati portati avanti anche con il precedente governo” pensa Capitanio, oggi libero di ricordare a Salini la sua vicinanza con il partito che ieri era opposizione.

 

Se davvero il prossimo governo sarà di discontinuità, non potrà che esserci discontinuità anche in Rai. In queste ore circolano infatti tre soluzioni, tutte possibili come gli esecutivi di cui si fantastica.

 

La prima è la soluzione “fuori tutti”. Nuovo Cda, nuovi direttori di rete, nuovi direttori di tg. Fuori anche Salini. Ma forse no. Fuori sicuramente il presidente della Rai, Marcello Foa, e dentro ancora Salini. In Rai, sono molti non tanto a disegnare questo scenario, ma ad auspicare questa fine. “Salini ha più amici a sinistra che sostenitori a destra e nel M5s” pensano ancora nelle redazioni dei tg e soprattutto dalle parti del Tg3. A Salini viene riconosciuta quella speciale abilità che gli ha consentito di tutelare l’indipendenza di Rai Tre, del suo notiziario e di programmi come Report con i suoi cronisti che, fino alla fine, hanno invitato Salvini a chiarire i rapporti con Savoini e con la Russia. “E poi bisogna tenere conto che Salini è riuscito, a fine luglio, a siglare un accordo che si inseguiva da tempo”, confida un dirigente Rai. Si riferisce all’accordo che l’amministratore delegato ha concluso con Usigrai e Fnsi e che dovrebbe portare a un ‘giusto contratto’ duecentocinquanta professionisti e all’assunzione, su base territoriale, di ulteriori novanta. Sicuramente un successo per Salini ma mai quanto il piano industriale che ha presentato e che non ha mai smesso di ritenere “innovativo” e che nelle sue intenzioni dovrebbe restituire, nei prossimi anni, una Rai radicalmente mutata. “E se invece fosse Salini a dimettersi?” si chiedono in tanti. Sarebbe la terza delle congetture e che terremoterebbe la Rai dove, in silenzio, M5s e Pd hanno già ribaltato il tavolo. A farlo notare è Michele Anzaldi, membro della commissione di Vigilanza, tra i pochi a osservare – mentre Giuseppe Conte era impegnato a riferire in Aula – le firme in calce a una lettera contro il ritorno in Rai della trasmissione Miss Italia. La manifestazione era già stata fermata dall’ex presidente, Anna Maria Tarantola, perché non in linea con il contratto di servizio. Adesso, a dire basta, sono stati tre membri del Cda Rai. Si tratta di Rita Borioni (espressione del Pd), Beatrice Coletti (indicata dal M5s) e Riccardo Laganà eletto dai dipendenti.

 

“In pratica, M5s e Pd hanno sconfessato le decisioni di Foa e della direttrice di Rai Uno, Teresa De Santis”. A dirlo è sempre Anzaldi che assicura di non studiare vendette ma “di volere ripristinare la legalità”.

 

Sul futuro di Foa pende ancora una richiesta di accesso agli atti da parte del Pd che riguarda la sua votazione e che finora è stata bloccata. Ma non lo sarà più con il nuovo governo. E poi bisognerà discutere e verificare le assunzioni che riguardano gli esterni. “Hanno calpestato la legge. Anziché chiamare dipendenti interni hanno chiamato risorse esterne. E’ chiaro che tutto questo deve essere fermato” aggiunge ancora Anzaldi che nei mesi scorsi ha dato battaglia contro la salvinizzazione di programmi come Uno Mattina dove alla conduzione è arrivato Roberto Poletti, giornalista e primo biografo di Salvini. E poi ci sarebbe la direzione di Gennaro Sangiuliano al Tg2, che il Pd pretenderà di liberare (“ha ridotto il Tg2 in Tele Salvini”) ma che per Capitanio dovrebbe rimanere un punto fermo, (“Sangiuliano è tra i migliori direttori di testata per capacità di analisi”). Così la Lega si rifugia nelle prossime elezioni, se e quando ci saranno, (“se non ci rispetteranno, come noi abbiamo fatto, ci ricorderemo della prassi”) mentre il Pd prova quella euforia da Conte di Montecristo: “Se ne devono andare. Anzi. Li manderemo via”.

Di più su questi argomenti: