Matteo salvini e Vladimir Putin (LaPresse)

Tuffo romano per Putin

Micol Flammini

La capitale in attesa del presidente russo. Tra strade bloccate e prove di convivenza italo-russa tra giornalisti

Roma. La limousine era quasi più attesa di lui, tanto larga nelle strette vie di Roma. La capitale si trasforma con l’arrivo dei leader, anche se il leader è ormai seduto su stesso, poco entusiasta e la visita a Roma è una gentilezza per ricambiare i numerosi inviti e una tappa per andare in Vaticano dal Papa, dove è arrivato carico di regali, più o meno graditi, come il film di Andrei Konchalovsky su Michelangelo Buonarroti. Il caldo, il ritardo di Vladimir Putin sulla bocca di tutti. Ha fatto attendere anche Angela Merkel prima di molti incontri: una volta arrivò tardi perché era a ballare al matrimonio dell’ex ministro degli Esteri austriaco, un’altra volta non solo la fece attendere ma si presentò anche con il suo cane nero, ben sapendo che la cancelliera ha paura dei cani. Ha fatto attendere anche il Papa, poi Sergio Mattarella, figuriamoci se non avrebbe fatto attendere Giuseppe Conte che fiero della visita, mentre il capo del Cremlino entrava nel cortile d’onore di Palazzo Chigi gli indicava dove doveva fermarsi, verso quali punti guardare.

  

Putin che di visite ufficiali è ben più esperto del presidente del Consiglio italiano, non sorrideva al seguito delle tante indicazioni. In sala stampa qualcuno suggeriva che i due avrebbero fatto in fretta, che la visita veloce e sotto al sole di Vladimir Putin sarebbe finita puntuale, invece sono rimasti a colloquio per più di un’ora mentre nella sala stampa giornalisti russi e italiani davano prova che l’alleanza tra le due nazioni non va poi così a meraviglia. In una fila un po’ scompigliata per andare verso la conferenza stampa, è scoppiata una rissa, poi una seconda rissa. Russi contro italiani e italiani contro russi. E’ dovuta intervenire la sicurezza per placare la situazione, le tensioni e i risultati di un incontro poco organizzato.

  

Sarà il caldo, sarà l’attesa, sarà il cambiamento. Alla conferenza stampa i due leader sono arrivati con due ore di ritardo, Conte un po’ ingobbito affianco alla postura marziale del presidente russo, domanda ai suoi: “Comincio io?”. Il risultato delle lunghe ore di colloquio, a causa delle quali è stato anche cancellato l’incontro alla Farnesina per i Forum di dialogo, sono state promesse e dichiarazioni di intenti e un accordo tra la Cdp e il fondo russo Rdif per promuovere la cooperazione economica attraverso co-investimenti e cofinanziamenti per aiutare le imprese italiane che operano in Russia. Delle sanzioni i due hanno parlato a denti stretti, Conte ha ripetuto, di nuovo, che il suo governo ha sempre avuto una posizione lineare “non sono un fine, ma vorremmo fosse un regime transitorio e lavoriamo per creare le premesse per il superamento di questo stato dei rapporti”. Ma Vladimir Putin era partito da Mosca sapendo già che la visita non avrebbe cambiato nulla, l’Italia, anche quella del cambiamento, ha sempre votato in continuità con l’Unione europea, protagonista, in rumorosa assenza, di questo vertice. Conte ha ripetuto, di nuovo, che le relazioni tra Italia e Russia sono sempre state buone e poi ha in fretta puntato il dito verso i partner europei, implacabili nell’imporre dolorose sanzioni.

   

  

Che siano dolorose queste sanzioni lo ha ammesso anche il presidente russo davanti a tutta la nazione il 22 giugno scorso durante il filo diretto con gli elettori. Durante l’appuntamento annuale con il presidente, i russi chiamavano per chiedergli di mettere un freno alla povertà – ospedali senza macchinari, città senza scuole, villaggi senz’acqua – e lui, per la prima volta, ha ammesso che le sanzioni occidentali fanno male all’economia. “Siamo grati all’Italia per la sua posizione sulle sanzioni – ha detto Putin – comprendiamo che sia legata ai suoi impegni europei e non abbiamo nessuna pretesa”. Anche nel parlare di politica estera i due hanno duettato: la crisi in Ucraina “è da risolvere al più presto”; la Libia “resta pericolosa”; la Cina “vanno ristabiliti i rapporti con gli Stati Uniti”. Della delegazione faceva parte anche il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, compagno del presidente ormai dal 2004 che della politica estera russa conosce i dettagli e i programmi. Lo accompagna ovunque e va avanti, dove necessario. Della delegazione facevano parte anche Alexander Shokhin, presidente degli industriali russi, Igor Shuvalov, capo del fondo per gli investimenti e Igor Sechin, amministratore delegato di Rosneft.

   

Per le strade di Roma, oltre al rigore e al sole, c’è stata qualche contestazione, fischi al passaggio della Aurus Senat L700 con il presidente dentro, turisti annoiati di fronte alle strade sbarrate, motorini che tentano di intrufolarsi tra una macchina russa e l’altra, ce ne erano trenta per seguire il presidente. Per la Farnesina non c’era tempo, Putin e le trenta macchine sono partiti per villa Madama, con Matteo Salvini e Luigi Di Maio che lo attendevano e hanno cercato la photo opportunity. “Ora ha fretta – dice qualcuno fuori Palazzo Chigi – non vuole tardare per l’appuntamento con Silvio Berlusconi che lo attende a Fiumicino”. Vladimir Putin non veniva in Italia da cinque anni. Ieri è arrivato stanco, con la testa forse alla vicenda del sottomarino che rimane segreto di stato. Cinque anni dopo: meno di dodici ore di benevolenza romana, prove di convivenza tra giornalisti italo-russi andate male, inchini. Alla fine la limousine è riuscita a passare ovunque.