Il premier Giuseppe Conte a Bruxelles per il consiglio europeo (Foto LaPresse)

La sconfitta europea della linea Conte vista dalla Lega

Valerio Valentini

Il premier avrebbe obbedito al veto di Salvini sul socialista Timmermans. Le incertezze sul commissario italiano, e l'ipotesi di un rimpasto di governo

Roma. “Concorrenza? Magari”. Quando esce dall’Aula di Montecitorio, Gian Marco Centinaio quasi alza le mani, davanti all’assalto della pattuglia dei cronisti. Ministro, commissario: come bisogna chiamarlo? Lui sorride, si limita a una professione di umiltà: “A Matteo Salvini ho detto che il mio nome è sul tavolo. Se serve, vado a Bruxelles, sennò sto qua”. Quando però gli si chiede se sarebbe pronto a impegnarsi in una materia per lui nuova, come quella dell’antitrust a livello europeo, lui strabuzza gli occhi, scuote con gesto di plateale scetticismo la cartellina piena di carta che tiene in mano. “Che si tratti della concorrenza è tutto da vedere”, dice, come si fa di solito quando si parla di un sogno irrealizzabile. Di “portafoglio del cuore”, non a caso, ha parlato Giuseppe Conte martedì sera: poi gli spin di Palazzo Chigi, l’enfasi che ne è seguita, hanno trasformato quell’auspicio in una specie di certezza. “A me non risulta che sia così scontato – ammette, sorridendo, Centinaio – ma magari Salvini ne sa di più”.

 

Salvini, in verità, la sua cautela sul tema l’ha già mostrata qualche minuto prima, all’ingresso di Montecitorio dove era atteso per il question time sul caso della Sea Watch 3. “Nessuno quanto meno ci può negare il diritto a nominare un commissario a una materia economica”, dice il ministro dell’Interno, che ostenta, pure lui, il suo stupore di fronte a chi gli parla del portafoglio della Concorrenza come se fosse qualcosa di già acquisito. A farlo, del resto, è stato lo stesso Luigi Di Maio, che in un post su Facebook pubblicato dopo pranzo per riscattare la sua giornata dall’ormai abituale irrilevanza, ha esultato con toni perentori: “Siamo riusciti a portare a casa una casella importantissima come quella del commissario Ue alla concorrenza. Andremo dunque ad occupare un ruolo fondamentale”.

   

In verità, quella che a Palazzo Chigi provano a sventolare come una vittoria già ottenuta, non sarebbe altro che una promessa offerta a Conte nelle ore tribolate di martedì, quando le diplomazie franco-tedesche provavano ad assicurarsi il suo appoggio sul nuovo pacchetto di nomine, quello che prevedeva Ursula von der Leyen alla guida della commissione europea e Christine Lagarde al vertice della Bce. D’altronde, l’ostruzionismo di Conte aveva già irritato, e non poco, Angela Merkel ed Emmanuel Macron, che avevano registrato con stupore misto a insofferenza il voltafaccia del premier italiano sul nome di Frans Timmermans. “In effetti – conferma, a microfoni spenti, un esponente di governo del M5s – noi eravamo rimasti al fatto che l’accordo siglato a Osaka era stato benedetto anche da Conte”. E poi? “E poi Salvini s’è messo di traverso: lui non voleva un socialista a capo della Commissione, e non voleva tradire i suoi amici di Visegrád”. E non basta, però. Perché, seppure in modo meno plateale, il niet di Conte è arrivato, martedì, anche su Margrethe Vestager, gradita da Merkel e Macron ma bocciata, a detta dei diplomatici francesi e tedeschi presenti a Bruxelles, proprio dal premier italiano. “Anche lì – spiegano fonti M5s – il problema era con Salvini”. Eccola, dunque, la contronarrazione su Conte, che Rocco Casalino si premurava di descrivere come del tutto indipendente dai voleri e dagli umori del leader della Lega.

 

D’altronde, la sostanziale egemonia del Carroccio la si constaterà anche nel rimpasto che, a breve, verrà attuato. “Matteo si è convinto ad andare avanti – spiega Centinaio – ma di aggiustamenti ne andranno fatti”. Si comincerà dal ministro per gli Affari europei, per il quale Salvini ha già individuato il profilo di Lorenzo Fontana, che lascerebbe la delega alla Famiglia a un collega di partito, verosimilmente una donna. Ma sarà solo la prima tessera di un domino che potrebbe risultare assai complesso. Perché Di Maio vuole sgravarsi di almeno uno dei suoi due ministeri, ma affidare il Lavoro al fedelissimo Riccardo Fraccaro (per guadagnare un voto all’interno del Cdm), che dovrebbe però essere rimpiazzato ai Rapporti col Parlamento. La Difesa vive ancora nel limbo di una faida irrisolta tra il ministro Elisabetta Trenta, sgradita a mezzo Movimento e in rapporti non eccellenti neppure con Conte, e il sottosegretario Angelo Tofalo: e quanto i dissidi non siano stati sopiti è apparso evidente anche ieri, in Transatlantico, dove i due si sono accuratamente evitati. E poi c’è il Mit, dove la Lega ha fretta di inserire di nuovo almeno un suo sottosegretario. Si continua a fare il nome del salviniano Alessandro Morelli (già direttore di Radio Padania), oltre a quello del neo vicesegretario del Carroccio, Andrea Crippa. Sempre che, alla fine, non si verifichi un grande ritorno: quello di Edoardo Rixi, già vice di Danilo Toninelli e costretto a dimettersi dopo la condanna in primo grado per la rimborsopoli ligure. Lui dice di non avere voglia, si gode la vita da deputato semplice. Ma a chi glielo chiede conferma che sì, “è vero che martedì sera, alla cena organizzata dall’Ambasciata americana, alcuni esponenti di governo del M5s si sono detti dispiaciuti per il mio allontanamento, e mi hanno perfino proposto di tornare”. E non è detto che fosse solo una carineria di circostanza. 

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