Angela Merkel (foto LaPresse)

Gli arrabbiati tedeschi

Paola Peduzzi

A Berlino, l’Spd vuol fare la guerra alla Merkel affossando la Von der Leyen. Ma il suo conto non torna

Milano. Angela Merkel sapeva fin dall’inizio che il suo passo doppio in Europa con Emmanuel Macron le avrebbe causato dei guai a Berlino: aveva così scelto fin da subito di non votare a favore della candidata alla presidenza della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che pure è una conservatrice tedesca a lei molto grata e fedele. Il suo, aveva detto la cancelliera tedesca, era un sostegno personale. La solita ipocrisia merkeliana, hanno sibilato gli arrabbiati, che sono tantissimi e di tutte le famiglie politiche: c’è il fuoco amico dei conservatori tedeschi che si riverbera su tutto il Partito popolare europeo; c’è la rabbia dei compagni di coalizione, l’Spd, che è la stessa di tutto il Partito socialista europeo; c’è il risentimento dei Verdi, soprattutto quelli tedeschi, osannati dopo gli ottimi risultati elettorali alle europee ma rimasti senza alcun riconoscimento (contano comunque su un commissario).

 

Gli arrabbiati vogliono consumare la loro prima vendetta proprio con la Von der Leyen: l’Spd ha fatto sapere che non la sosterrà quando, tra un paio di settimane, ci sarà il voto di conferma al Parlamento europeo. Il voto è segreto, ha detto il vicecapo dell’Spd Ralf Stegner, “ma suppongo che i socialdemocratici tedeschi perlomeno si comporteranno così”. L’Spd usa la conferma della Von der Leyen per colpire la Merkel e il governo di coalizione: la accusa di non aver difeso a sufficienza la prima, carezzevole proposta di nominare il socialista olandese Frans Timmermans a capo della Commissione (il celebre “piano Osaka” boicottato anche dall’Italia) e di aver contribuito ad affossare la procedura dello Spitzenkandidat che era il collante del dialogo tra Strasburgo e Bruxelles. In realtà il magro bottino socialista a livello europeo pesa più su Pedro Sánchez che sulla Merkel: il premier spagnolo ha messo il suo ministro degli Esteri, Josep Borrell, a capo della diplomazia europea, quando molti si aspettavano che si battesse per ottenere la leadership del Consiglio europeo, andata invece al liberale belga Charles Michel. Ma prendersela con l’unico leader scintillante della sinistra europea suona male, meglio continuare con il grande classico: tutta colpa della Merkel. Anche la coleader dei Verdi tedeschi, Annalena Baerbock, è ostile alla Von der Leyen, “una politica del passato”, ha detto, e ha difeso, come l’Spd, il meccanismo dello Spitzenkandidat archiviato dalla cancelliera (e ovviamente da Macron).

  

Gli arrabbiati stanno facendo preoccupare la Von der Leyen e gli europeisti perché mettono in discussione non soltanto la nomina ma anche la “jumbo coalition”, l’alleanza tra popolari, socialisti, liberali e Verdi che è la risposta di questa nuova Europa alle minacce sovraniste. L’elezione di David Sassoli alla presidenza dell’Europarlamento ha già mostrato le crepe: ci sono volute due votazioni per eleggerlo, e ci sono state delle defezioni importanti. La Von der Leyen ha inaugurato la sua charme offensive nelle varie famiglie politiche dell’Ue: competente e pragmatica, la ministra della Difesa tedesca vuole porsi come un fattore di unità per gli europeisti, al di là del partito di provenienza (forse poteva evitare di dire che per lei il meccanismo dello Spitzenkandidat è ancora vivo: è suonato come un trollaggio). Ma ci sta riuscendo?

   

Tom Nuttall, capo dell’ufficio di Berlino dell’Economist, è tra quelli che tendono a ridimensionare gli arrabbiati. “Non penso che l’opposizione minacci davvero le possibilità della Von der Leyen di conquistare il sostegno necessario a Strasburgo – dice Nuttall al Foglio – Penso che avrà abbastanza voti tra gli europarlamentari socialisti e Verdi” per essere confermata. Anzi, secondo Nuttall la strategia dell’Spd potrebbe essere addirittura controproducente, in un momento in cui il partito è molto debole – alle europee è stato superato dai Verdi – e deve scegliersi un nuovo leader – ieri sono state presentate le due prime candidature: Michael Roth, che si occupa di Affari europei ed è nell’entourage del ministro degli Esteri socialdemocratico Heiko Maas, e l’ex ministro della Famiglia Christina Kampmann. “L’Spd rischia di risultare isolata e incompetente – dice Nuttall – Se per la Von der Leyen la situazione dovesse diventare complicata, l’Spd vorrà davvero mettersi contro una tedesca che è anche la prima presidente donna della Commissione? Sospetto che non possa finire bene per l’Spd”. Forse allora questa è soltanto una sessione di allenamento di quello sport che appassiona molti: dire che la Merkel è in crisi, che è finita, anche se non è vero.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi