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Attacchiamoci al caos

Valerio Valentini

“Ma che vittoria? Ha vinto Visegrád, Conte a rimorchio. La confusione ci aiuta”. Parla Borghezio (Lega)

Roma. “Scommettere sul caos”, questo deve essere il mantra. “Dobbiamo puntare ad alimentare l’instabilità, fare in modo che tutto resti fluido”, dice Mario Borghezio, all’indomani del Consiglio europeo che ha portato a definire le nomine più importanti dell’Unione europea, il primo dopo diciotto anni che il vulcanico esponente della Lega analizza da spettatore non direttamente interessato, da “militante semplice”, come dice lui, e non da europarlamentare.

 

Contento di com’è andata, per l’Italia?

“Abbastanza. Ma non perché abbiamo ottenuto chissà che risultati in termini di incarichi. Da quel punto di vista, il bottino portato a casa da Giuseppe Conte è stato assai magro”.

 

Diceva di aver piegato l’asse franco-tedesco.

“Che invece esce rafforzato. L’unica soddisfazione, semmai, per me è vedere il tramonto di questo sistema assurdo degli Spitzenkandidat. Ma dal punto di vista politico, mi pare che per noi lo scenario non sia migliorato. Anzi, direi che c’è più continuità che non rottura, rispetto alla precedente commissione”.

 

E allora? Contento per cosa?

“Perché noto che grande è la confusione sotto il cielo di Bruxelles, e per noi va benissimo così. Noi, in questo caos, possiamo prosperare. L’ho detto anche ai nostri eurodeputati: bisogna tenere sempre fluida la situazione, bisogna alimentare questa incertezza”.

 

Per ottenere cosa?

“Perché la nostra strategia, della Lega e dell’Italia in generale, è cambiata. Non siamo più i gregari di Francia e Germania, abbiamo deciso di abbandonare quella posizione, magari se la prenderà la Spagna. Ora noi siamo sul fronte opposto: dobbiamo puntare a fare da raccordo tra i paesi dell’est, porci alla testa del fronte che si oppone a Merkel e Macron”.

 

E a questo è servito, bocciare Frans Timmermans?

“In parte. Diciamo che l’aver stoppato Timmermans non è una vittoria dell’Italia, ma dei paesi di Visegrád. Per loro, e in particolare per ungheresi e polacchi, lui era il nemico peggiore. E’ stato per anni il più acerrimo nemico del sovranismo orientale, e in particolare di Viktor Orbán”.

 

Dunque noi siamo andati a rimorchio di Visegrád?

“Sì, ma col nostro peso abbiamo fatto sì che il veto su Timmermans diventasse insormontabile. Speriamo così di avere guadagnato dei crediti politici nei confronti di quei paesi, da spendere magari sul tema dell’immigrazione”.

 

E per farlo, però...

“Certo, per farlo ci siamo inimicati chi potrebbe darci una mano sull’altro fronte, quello dei conti pubblici e dei vincoli di bilancio. Da quel punto di vista Timmermans forse era preferibile a Ursula von der Leyen, che è una fedelissima della Merkel”.

 

E ci è convenuto?

“E’ un azzardo, ovviamente. Ma la politica vive di questo, specie quando si cerca di rompere degli equilibri sedimentati. E Matteo Salvini è uno che rischia sempre, rischia tutto”.

 

Rischiamo anche sul commissario europeo?

“Io credo che dobbiamo essere consapevoli che su questo governo c’è una pregiudiziale enorme. Credo che Giancarlo Giorgetti, ad esempio, avrebbe le competenze e le conoscenze giuste per puntare a un buon portafoglio economico: ma deve essere consapevole che al momento del vaglio del suo nome, il Parlamento europeo sarebbe per lui un plotone di esecuzione. Per una parte non irrilevante di questa maggioranza europea qualsiasi esponente del governo italiano sarebbe impresentabile a prescindere”.

 

Glielo ha detto?

“No, io al massimo do qualche consiglio ai nostri eurodeputati”.

 

Li sente ancora, dunque?

“Continuo a frequentare i corridoi di Strasburgo e Bruxelles. Ma soprattutto, con la nostra Fondazione federalista ‘Per l’Europa dei popoli’, provo a dare qualche contributo al partito in termine di idee e strategie. Contributi seri e soprattutto gratuiti, però, mica come quelli del signor Siri”.

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