Matteo Salvini (foto LaPresse)

Il Truce non ha alcun motivo per andare ora al voto

Giuliano Ferrara

Il leader della Lega può godersi il presente con tutte le sue bellurie e soprattutto sparlare a volontà

Come tutti i notisti politici, ho le idee chiare. Sicché al mattino penso che il Truce si avvia rapidamente alle elezioni anticipate, per incassare e andare a Palazzo Chigi, ma alla sera penso l’opposto. D’altra parte ho la scusante: la politica nazional-pop è un animale strano, e quando dico che non ci si capisce un tubo mi sento in buona affollata compagnia. Oggi può essere utile stendere i pensierini della sera.

 

Cioè i motivi per i quali il Truce non ha alcun motivo di affrettarsi e può invece godersi il presente con tutte le sue bellurie da truogolo. E’ ministro dell’Interno e capopartito e capobanda: le due cose insieme e inestricabilmente connesse. Utilizza questa posizione speciale per fare quello che gli pare: se va va, se non va, e spesso non va, fa niente. Molti nemici verbali, molta gloria verbale, poca responsabilità di costruzione politica, massima libertà di sparlare a vanvera, ciò che voti ne procaccia a schiovere in un paese per dir così “confuso”. Dice chi e quando deve essere arrestato, ma nella sua posizione può farlo non tanto o non solo in spregio alla divisione dei poteri quanto nel ruolo del poliziotto un po’ ubriaco (in vino veritas). Il facente funzione negozia un accordo in Europa e lo rivende come eccellente: lui può dire che la trattativa è stata condotta male, o almeno far sapere che lo pensa, e rivendicare ben altro di quanto sarebbe stato possibile in un contesto vittorioso a Bruxelles, che vede solo lui (ma è autorizzato a farlo dalla sua lateralità di ministro della sicurezza che come capo politico controlla quei pericolosi intellettuali di Palazzo Chigi e della Farnesina, controlla e manda, controlla e giudica).

 

Il suo alleato del contratto è in realtà un mezzo antagonista in crisi di scena e di vocazione, non ha alternative e batte sempre lo stesso chiodo blocca-tutto e anticasta: con i no dei contrattisti, il Truce può dire i suoi sì, alla flat tax o alla Tav o a chissà cos’altro che piaccia ai bravi imprenditori del nord. Annuncia riforme della giustizia quando sono emesse ordinanze o sentenze avverse alle sue campagne di detestazione e di disprezzo degli altri, ma non è tenuto a essere conseguente perché la maggioranza è in realtà un carcere litigioso dal quale prima o poi lui saprà evadere, e vedrete che meraviglie dopo la riconquistata libertà. E così via.

 

Il Truce farà una grande carriera, sicuro. Ma costruire un’ipotesi anche nazionale nell’Unione europea, magari basata su alleanze e capacità di manovra, per adesso non gli è richiesto. Anche la responsabilità è limitata. Come capo banda può occupare la Rai, intimidire le opposizioni nei giornali (compito facile facile), può perfino mandare un sovranardo, come dice la Cesaretti, a fare la rassegna stampa di Bordin a Radio Radicale, e può naturalmente spanciarsi di Nutella, mettersi in mutande o in divisa, che è la stessa cosa, e voracemente selfizzarsi con l’aiuto del fido specialista in social. Può sopra tutto parlare e sparlare a volontà. Finito il tempo in cui il ministero dell’Interno era un luogo di mediazione istituzionale e di garanzia comune dei cittadini, finito il tempo della burocrazia e del lavoro duro d’ufficio, basta poco per fare della Gobernación, che sarebbe un affare serio, un teatrino di marionette in cui i poteri della forza si muovono verbosamente in circolo, senza eccessive conseguenze e senza che si sia tenuti a prendere sul serio il caro leader.

 

Dovesse andare alla presidenza del Consiglio, che palle fare come Conte, prendersi il ridicolo dell’isolamento, moltiplicare le interviste corrive, fare il punto d’equilibrio con il rischio della rottura dell’equilibrio e di una immensa rottura di scatole nel lavoro di direzione politica di un governo e di una maggioranza. Scelba fu ministro dell’Interno e bandiera di anticomunismo e antifascismo in anni immediatamente posteriori alla fine della guerra, ma sapeva i propri limiti e finì per fare, da capo storico della Dc, al massimo il predecessore di Sassoli alla presidenza di un Parlamento di Strasburgo che allora era pure eletto di seconda mano. Fu un simbolo, certo, ma con la fatica tipica, nonostante la Celere e la legge contro il fascismo, di una generazione che costruiva non selfie ma classi dirigenti, missione repubblicana meno divertente del postmodernismo populista e sovranista e sanfedista col Rosario in mano. Ecco, a pensarci nelle brume serotine, con questo gradevole caldo non apocalittico, la scelta che per ora fa il Truce, durare nella sua bambagia, ha delle spiegazioni. Domani mattina è un altro discorso.

Di più su questi argomenti:
  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.