Luigi Di Maio e Matteo Salvini (foto LaPresse)

Il ricatto ai Benetton del M5s rivela la disperazione su Alitalia

Valerio Valentini

Luigi Di Maio rilancia la sua crociata, Matteo Salvini dissimula il suo presunto impegno per i posti di lavoro da salvaguardare. I due vicepremier si scontrano ed entrambi ottengono ciò che vogliono

Roma. Nel loro perenne gioco delle parti, hanno ottenuto entrambi ciò che volevano. Luigi Di Maio ha potuto rilanciare la sua crociata contro gli odiati Benetton; Matteo Salvini è riuscito a dissimulare, una volta di più, il suo presunto impegno per i posti di lavoro da salvaguardare e le aziende da aiutare. E così il grillino ha alluso al suo omologo come a un collaborazionista dei padroni del vapore, per poi disertare il Cdm; il leghista ha fatto trapelare tutto il suo fastidio per l’attacco ricevuto, salvo poi affrettarsi a precisare che no, “con Luigi non c’è nessuna polemica, solo tanto lavoro da fare”. Sia su Autostrade sia Alitalia.

 

Questioni che il Carroccio continua comunque a lasciare nelle mani del M5s. Che, nel frattempo, continua a trattarle come due affari del tutto separati. Per questo sulle concessioni autostradali si lavora al Mit; di Alitalia, invece, si discute al Mise. E però, pur volendo tenerle distanti, le due matasse inevitabilmente s’intrecciano in un groviglio sempre più inestricabile. Lo sa anche Di Maio, che per oggi ha organizzato, nei suoi uffici di Via Veneto, delle riunioni insieme a colleghi di governo del suo partito, proprio su Alitalia, e che si è ormai rassegnato ai report che, in un modo o nell’altro, prevedono l’ingresso dei Benetton – con una quota non inferiore al 30 per cento – come condizione necessaria per evitare il (definitivo) tracollo del vettore.

 

E siccome con Atlantia bisognerà scendere a patti, nel M5s cercano almeno di dare a vedere che si tratti “non di una resa, ma di un accordo”. E così si è riaperto il fuoco su Aspi, che da Atlantia è controllata all’88 per cento. “Dobbiamo sederci al tavolo avendo potere negoziale”, dicono i grillini. E per conquistarlo, questo potere, si sono convinti a brandire di nuovo la minaccia della revoca delle concessioni, e per di più senza incorrere in alcuna penale, visto che a invalidare le istanze risarcitorie di Aspi ci sarebbe “il grave inadempimento” perpetrato sul ponte Morandi. Siccome “l’obbligo di custodia” sul viadotto sarebbe stato violato dal gestore, ecco che alla società non spetterebbe alcun risarcimento sui mancati introiti previsti fino al termine della concessione, nel 2038. Queste, in sintesi, la rivendicazioni del M5s. Che, tuttavia, non tengono conto, innanzitutto, di come l’effettiva responsabilità di Aspi nel crollo del Morandi vada dimostrata nelle aule del tribunale. Le stesse nelle quali, peraltro, andrebbe dichiarata anche la nullità della clausola inserita nel contratto di concessione: ma fintanto che ciò non avverrà, lo stato dovrebbe comunque pagare ad Aspi tra i 20 e i 25 miliardi. Quanto all’“obbligo di custodia”, la rete autostradale è in perenne cambiamento: si aggiungono delle corsie e degli svincoli, si ristrutturano delle gallerie. E si ricostruiscono ponti crollati: come è avvenuto con quello dell’A14 a Bologna, danneggiato dall’esplosione di una cisterna nell’agosto 2018 e ricostruito da Aspi senza che nessuno invocasse la revoca della concessione. Senza contare, poi, che a pretendere che Castellucci e soci non toccassero “neanche una pietra”, a Genova, erano stati proprio Di Maio e Toninelli.

 

Stranezze, certo, difficilmente difendibili sul piano legale. E che però, secondo gli strateghi grillini, valgono a lanciare un segnale ai Benetton: se vogliamo, possiamo farvi male. Il che dovrebbe bastare, insomma, a convincere i Benetton a non alzare troppo la posta su Alitalia. Non a caso nel M5s si enfatizza l’incidenza del traffico di Alitalia sugli incassi dell’aeroporto di Fiumicino, gestito pure quello dalla holding di Ponzano Veneto. Una quota pari a circa un terzo del totale, seppure in calo costante negli ultimi anni. Insomma: “Non conviene neppure ad Atlantia giocare sulla pelle di Alitalia”, dicono nei corridoi del Mise. Sperando, però, che alla fine il gioco non salti del tutto: perché di soluzioni alternative, per il salvataggio della compagnia aerea, non ce ne sono. E l’inconsistenza delle ipotesi fatte circolare a bella posta come alternative, da Toto a Lotito fino ad Avianca, stanno lì a dimostrarlo.