Se dai conflitti famigliari nascono i colossi
La via d’uscita spagnola per i Benetton sulla scia di Elkann e Del Vecchio
Che cosa ci ha insegnato Marchionne? A non accontentarci e a pensare sempre in modo nuovo, inatteso”. Le parole di John Elkann tornano d’attualità oggi mentre la famiglia Benetton è costretta a prendere decisioni importanti, anche drastiche, dopo la defenestrazione di Giovanni Castellucci. Marchionne non ha solo acquisito la Chrysler, ma ha traghettato la “famiglia reale” del capitalismo italiano verso un futuro davvero multinazionale. John Elkann lo ha assecondato e sostenuto realizzando la sua “azione parallela”. Oggi Exor con un fatturato di 143 miliardi di euro, è di gran lunga il numero uno, mentre Fca è il primo gruppo privato in Italia. Su questa strada si è avviato Leonardo Del Vecchio convolando a nozze con la francese Essilor e quotando a Parigi la nuova entità. Anche lui rischiava che la sua Luxottica finisse lacerata da conflitti familiari (una eredità da dividere in ben tre famiglie) che avrebbero potuto diventare esiziali. Così, a 84 anni può dire di aver messo al sicuro l’azienda e la proprietà. Dove? All’estero, s’intende, in una nuova dimensione multinazionale. Evitando quel che sta succedendo in un altro gioiello della italica imprenditorialità, la Esselunga fondata da Bernardo Caprotti i cui eredi sono ancora divisi sul da farsi: vendere, resistere, cercare alleati. La Ferrero, guidata da Giovanni, l’industriale scrittore, dopo la morte del padre Michele che aveva sempre rifiutato di uscire da Alba, ha realizzato una serie di acquisizioni in giro per il mondo e ha affidato la gestione a un manager. All’Europa guarda, del resto, lo stesso Silvio Berlusconi per Mediaset, cercando alleati fidati (non come Vincent Bolloré) per creare una realtà nuova, il primo passo è una holding olandese nella quale fondere Mediaset Italia e Mediaset España, con l’ambizioso obiettivo di creare un polo televisivo continentale.
I Benetton, con il loro giro d’affari di 12 miliardi, molti in Italia pochi nel mondo, sono rimasti a Ponzano Veneto. E’ vero che con Autogrill sono sbarcati negli Stati Uniti, è vero che posseggono terre e fazendas nell’America del sud, o l’aeroporto di Nizza, ma sono primi passi per diventare una vera multinazionale. Quando Gilberto ha scelto di passare dai maglioncini alle autostrade e poi agli aeroporti, alle stazioni e a tutto quel che è connesso con la mobilità, ha compiuto una scelta coraggiosa, tuttavia è entrato in un settore protetto, ad alta esposizione politica. Dai profitti alla rendita, è stato scritto ed è vero solo in parte perché si tratta pur sempre di una gestione che richiede spese, investimenti, capacità manageriale, ed è esposta al rischio il quale ha per premio il profitto. Ma una cosa è vendere sul mercato libero, un’altra contare su tariffe amministrate ed entrate garantite che generano più liquidità di un grande magazzino.
Il salto di qualità su scala internazionale lo hanno tentato con l’acquisizione di Abertis, il gruppo che gestisce le autostrade spagnole insieme a otto aeroporti, parcheggi e anche una televisione, la Retevision terzo operatore mondiale di satelliti. In tutto un fatturato di 5 miliardi di euro e 17 mila dipendenti. Il primo accordo risale al 2006, si doveva arrivare a una fusione, ma venne bocciata da Antonio Di Pietro ministro delle infrastrutture nel governo Prodi al grido: “La cuccagna è finita”, anticipando la campagna dei grillini contro i Benetton. Il dossier viene ripreso due anni fa e comincia uno scontro per il controllo di Abertis con Florentino Pérez, presidente del Real Madrid e imprenditore delle costruzioni. Nel marzo 2018 si raggiunge un accordo al 50 e 50 più uno (per Autostrade), ma, come ha scritto ieri il Sole 24 Ore, “il cantiere Abertis di fatto non è mai partito davvero”. Tutto era nelle mani di Castellucci che si era fatto garante del suo buon esito con il sospettoso Pérez sempre pronto a ribaltare l’intesa. Con Castellucci fuori gioco, molti si chiedono che cosa ne sarà di un accordo tanto precario. Ma se cade l’operazione, c’è il rischio che i Benetton debbano drasticamente rivedere la loro strategia.
La morte di Gilberto nell’ottobre scorso (preceduta dalla scomparsa di Carlo, il fratello minore) è stata un colpo durissimo che la lasciato il gruppo senza guida. Il consiglio di amministrazione di Edizione, la holding capofila, è composto dai quattro cugini, Alessandro, figlio di Luciano, Christian, figlio di Carlo Benetton, Franca Bertagnin, figlia di Giuliana Benetton, e Sabina la figlia di Gilberto, Giovanni Costa, Fabio Cerchiai, Carlo Bertazzo. A essi si aggiunge come presidente operativo Gianni Mion, 75 anni, il manager assunto nel 1986 che è stato l’artefice della grande metamorfosi, entrato poi in conflitto con Gliberto nel 2012. Il suo incarico doveva durare un anno, il tempo di trovare un degno leader. Adesso dovrà guidare un’altra transizione. Verso dove? Non sarà facile superare il trauma del ponte Morandi e forse è il momento di imparare la lezione di Marchionne, pensando l’impensabile: fondere Autostrade con Abertis, scegliere un manager spagnolo, uscire dall’italica palude.
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