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Perché le minacce dimaiesche ad Atlantia sono armi spuntate

Massimo Mucchetti

Non si affonda una corazzata con la propaganda. Sei ragioni per ridimensionare le intemerate contro Benetton & Soci

Caro direttore, il Foglio mi chiede quali lezioni si possano trarre, in questo momento, dal rumoroso contrasto tra il governo e Atlantia. Darò una risposta in sei punti.

 

Primo punto. La minaccia, appena reiterata dal governo, di revocare la concessione autostradale ad Autostrade per l’Italia (Aspi), principale società del gruppo Atlantia, genera tensioni e imbarazzi diffusi, ma, per ora, non viene ritenuta probabile dai mercati. Lo rivelano le quotazioni del titolo che tengono botta sui 18 miliardi di capitalizzazione anche quando il vicepremier Di Maio prevede coram populo un’Atlantia “decotta” non appena la revoca verrà deliberata senza il robusto indennizzo previsto dal contratto tra Stato concedente e società concessionaria.

 


La revoca delle concessioni non viene ritenuta plausibile dal mercato. La mancata ricostruzione del ponte Morandi è un pretesto. Chiamare “decotta” una multinazionale che fa profitti è una forzatura. E l’idea di escludere Atlantia da Alitalia è contrabbandata come punizione, ma in realtà è un favore


 

Secondo punto. Il ministero dello Sviluppo economico giustifica la revoca senza indennizzo sul fatto che, al termine della concessione, Aspi non potrebbe, come invece dovrebbe da custode del bene, restituire al concedente il ponte Morandi, essendo questo ponte crollato con le tragiche conseguenze umane tristemente note e i gravi danni economici subiti dalla città di Genova. D’altra parte, l’incuria del concessionario sul ponte, data per acquisita dal governo sulla scorta del senso comune maggioritario, ma non ancora accertata da un tribunale, iscriverebbe un legittimo sospetto sulla manutenzione dell’intera rete affidata ad Aspi. In mancanza di altri argomenti, questa impostazione dovrà fare i conti con due difficoltà. La prima consiste nel fatto che Aspi era pronta a ricostruire il ponte crollato ovviamente a sue spese, e dunque a metter asi nella condizione di ottemperare agli obblighi di restituzione previsti dalla concessione: è stato il governo ad affidare ad altri soggetti la ricostruzione. La seconda difficoltà consiste nel fatto che di fronte ad altri, non meno gravi disastri il governo non ha seguito la stessa linea: dopo la non meno grave tragedia di Viareggio, nessun politico ha pensato di togliere a Rfi la gestione della rete ferroviaria, pur reclamando tutti l’accertamento rigoroso delle responsabilità dei dirigenti delle Ferrovie e un giudizio senza sconti su quanto accertato dagli inquirenti.

 

Terzo. Considerare “decotta” Atlantia senza la concessione italiana di Aspi è francamente una forzatura. Atlantia è un gruppo multinazionale con autostrade in Italia, Spagna, Francia, Sudamerica, Polonia e India. Nel suo perimetro rientrano anche gli aeroporti di Roma e di altre città. Nel 2018 ha avuto ricavi per 11,4 miliardi e un margine lordo di 5,2 miliardi, dei quali meno della metà deriva dalle attività autostradali italiane. Alla concessione domestica sono legati da sempre importanti finanziamenti bancari e obbligazionari, ma è anche vero che Atlantia ha consistenti linee di credito non utilizzate. La cancellazione della concessione italiana senza indennizzo creerebbe seri problemi, ma non una crisi di liquidità tale da affondare la corazzata. Certo, in linea puramente teorica, per chiudere la ferita potrebbe essere ceduto il ramo d’azienda italiano con le conseguenti incertezze per i dipendenti. Forse potrebbe essere ceduta l’intera Aspi e forse pure Atlantia, primo operatore mondiale delle infrastrutture di mobilità, ove l’azionista di controllo attuale, la famiglia Benetton, ritenesse ormai irrespirabile l’aria domestica e decidesse di monetizzare. Non sarebbe un passaggio di mano semplice, dato il nuovo contesto istituzionale e regolatorio. E’ immaginabile che, a certe condizioni, si invochi pure l’intervento della Cdp o di qualche fondo infrastrutturale più o meno legato alla mano pubblica. In ogni caso i Benetton, che hanno molto altro (Atlantia conta 30 mila dipendenti, il gruppo che fa capo alla holding Edizione 67 mila), resterebbero miliardari in euro.

 

Quarto. Nella sua comunicazione radicale, il governo identifica Atlantia con i Benetton. Ma questa è una forzatura, comprensibile in un talk show, meno se si ragiona seriamente. E’ una forzatura perché l’identificazione dell’impresa con i soli azionisti risponde all’ideologica liberista dello “shareholder value” e non alla realtà di una comunità di “stakeholder”, come ha magistralmente argomentato la grande giurista americana Lynn Stout. Ma è una forzatura anche per le ragioni più prosaiche richiamate ieri da Salvatore Bragantini: allo scopo di punire i Benetton, il governo colpisce Aspi, che è controllata all’88 per cento da Atlantia, della quale i Benetton detengono il 30. Ciò vuol dire che della ipotetica perdita derivante dalla revoca della concessione il 26 per cento sarebbe a carico dei Benetton e tutto il resto a carico dei soci di minoranza. Ai quali verrebbe dunque imputato di fatto un incauto acquisto, avendo preso azioni di una società con i Benetton al comando. Ciò che non è stato fatto, aggiungo io, con gli azionisti di Banca Etruria piuttosto che delle popolari venete o del Monte dei Paschi, che si erano fidati di soci di riferimento finiti sotto inchiesta: per quegli investitori si sono sparse lacrime e previsti risarcimenti, e per questi?

 

Quinto. Infine, l’esclusione di Atlantia dal tentativo (disperato) di salvare Alitalia. E’ un’ulteriore punizione per la famiglia di Ponzano Veneto? In realtà, sembra un favore. Atlantia possiede Adr, che controlla gli aeroporti di Fiumicino, Ciampino e altri ancora. Una combinazione con l’ex (molto ex) compagnia di bandiera potrebbe avere – meglio: potrebbe aver avuto – un senso industriale come dimostra, fra le altre, l’esperienza francese, dove Air France-Klm è collegata agli scali parigini. Ma Adr guadagna già bene “stand alone”. E Alitalia, per così dire, non è Air France: il suo apporto al traffico è da anni calante e, in caso di fallimento, i suoi slot andrebbero ad altre compagnie. Del resto, non è stata Atlantia a chiedere di entrare nella partita Alitalia.

 

Sesto punto. Se alla fine è consentita una previsione, direi che la revoca sarà sbandierata come argomento di campagna elettorale fino a quando incomberà la prospettiva di un voto anticipato. Dopo, è ragionevole immaginare che si tornino a considerare i problemi veri del servizio autostradale in Italia. Del resto, lo stesso Di Maio avverte nella sua ultima intervista a Repubblica che “se paga” Aspi potrà conservare la concessione. In attesa che la magistratura – questo sì – faccia il mestiere suo, Aspi ha già accantonato 450 milioni. Sui principi si fanno le guerre, sui denari ci si può mettere d’accordo.

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