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Un inganno chiamato Casaleggio

Luciano Capone

Ma quale mago dell’innovazione! Così il Garante mette a nudo anche l’incompetenza del capo del M5s

Roma. Un giorno, quando ci guarderemo indietro, ci chiederemo com’è stato possibile che un paese sviluppato e civilizzato, del G7 e dell’Unione europea, abbia creduto a una rappresentazione così falsa e truffaldina: la piattaforma Rousseau, la democrazia diretta, i cittadini che scrivono le leggi. E la risposta, purtroppo, sarà che gran parte della responsabilità è stata dei media, di noi giornalisti che ci siamo prestati ad amplificare la propaganda anziché raccontare i fatti. Dire che il webmaster è nudo, cioè inetto e quindi pericoloso.

  

In questa settimana di avvicinamento a “Sum #03”, la kermesse annuale di Ivrea in memoria di Gianroberto Casaleggio, i giornali e i telegiornali continueranno a ripetere che si parlerà di “futuro”, di frontiera della “tecnologia”, di “innovazione”. E, come accade ormai da anni, Davide Casaleggio verrà intervistato in qualità di esperto di innovazione tecnologica. Lo sentiremo parlare di “Intelligenza artificiale”, “automazione”, “Internet of things”, “blockchain” e magari ripeterà che “il superamento della democrazia rappresentativa è inevitabile” e che “Rousseau è un sistema operativo che ci invidiano in tutto il mondo”. E così tutti crederanno di trovarsi di fronte al Bill Gates o allo Steve Jobs italiano, quando evidentemente Davide Casaleggio è solo un altro Danilo Toninelli – nel senso che il primo capisce di informatica quanto il secondo di infrastrutture. E tutto questo perché a nessuno viene in mente di fare domande, di chiedere conto, di non accettare risposte vuote o evasive.

       

Eppure siamo di fronte a uno di quei casi in cui la distanza tra la narrazione e la realtà è siderale. Ieri il Foglio ha dato conto del “Rapporto Rousseau”, le indagini che durano ormai da anni del Garante per la Privacy sulla “galassia M5S”. Il quadro che emerge è drammatico e ribalta anni di propaganda. Il “sistema operativo che ci invidiano in tutto il mondo” – come lo definisce Casaleggio – è un colabrodo informatico, incapace di garantire la sicurezza dei dati personali. Si basa su un software vecchio di dieci anni, scaduto sei anni fa, e considerato defunto dalla casa produttrice. La piattaforma Rousseau è una specie di software amatoriale, che non è in grado di garantire né la segretezza né la sicurezza del voto. Gli elettori sono identificabili e il loro voto riconoscibile. Non solo i risultati sono manipolabili in qualsiasi momento del processo elettorale, ma possono essere alterati da parte di chiunque: dall’esterno, perché come hanno dimostrato i ripetuti attacchi hacker la sicurezza è scadente; e dall’interno, perché in assenza di procedure di auditing chiunque può intervenire e manipolare i voti (senza alcuna possibilità di verifica a posteriori).

       

Fa sorridere che in questo contesto Casaleggio parli di “certificazione” del voto da parte di un notaio: in primo luogo perché il notaio è un suo amico già candidato con il M5s (Valerio Tacchini); ma soprattutto perché – se pure fosse una persona completamente terza e imparziale – non ha la possibilità di garantire né verificare la correttezza del risultato, dato che le votazioni sono manipolabili in ogni istante e praticamente da parte di chiunque. Forse un giorno ci chiederemo com’è stato possibile affidare le decisioni del primo partito italiano a un meccanismo del genere. E allora ci renderemo conto che questo non è il paese di Steve Jobs e Bill Gates, ma di Wanna Marchi e del mago Do Nascimento.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali