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Le domande su Casaleggio che il M5s non si fa

Salvatore Merlo

Nessuno tra i parlamentari grillini manifesta preoccupazione per il ruolo di Davide. Eppure dovrebbero

Roma. Il Movimento cinque stelle è stato rifondato da Luigi Di Maio e Davide Casaleggio che di fronte al notaio Valerio Tacchini, il 20 dicembre 2017, a Milano, hanno dichiarato di “costituire un’associazione denominata ‘Movimento cinque stelle’”. Di Maio, secondo il nuovo atto costitutivo, è fondatore e anche capo politico. Casaleggio invece è soltanto fondatore. Ma il figlio di Gianroberto è anche proprietario di Rousseau, cioè della piattaforma digitale attraverso la quale – secondo l’articolo 1 dello statuto approvato sempre il 20 dicembre 2017 – sono organizzate “le modalità telematiche di consultazione degli iscritti… nonché le modalità di gestione delle votazioni…”. E insomma Davide, che si presenta come un prestatore di servizi, ha invece un ruolo blindato e centrale nel M5s. Ebbene, come ha anticipato oggi il Foglio, un’indagine del Garante per la privacy che sarà presto resa pubblica ha rivelato quello che tutti sospettavamo: Rousseau scheda i suoi iscritti, ricorda come votano, ed è anche un sistema esposto ad attacchi esterni (hacker) e a condizionamenti interni (Davide). Oggi Casaleggio, ma soltanto dopo l’articolo del Foglio, ha annunciato, di nuovo, che tutto è stato risolto. Ma, parafrasando la sottosegretaria Laura Castelli, “questo lo dice lui”. Il Garante invece dice che Rousseau non è in grado di prevenire eventuali abusi commessi da parte degli addetti al suo funzionamento. Ovvero Casaleggio Jr. potrebbe anche alterare i risultati del voto, e senza lasciare traccia. Come ben si vede, questa non è dettaglistica. Non si tratta di minuzie noiose da onanisti del web.

   

L’analisi del Garante sottolinea un pericolo democratico. Da Rousseau, vale forse la pena ricordarlo, in tempi recentissimi è passato il voto elettronico che ha evitato l’autorizzazione a procedere per Matteo Salvini nel caso Diciotti. Ed è sempre la piattaforma Rosseau a decidere chi devono votare i parlamentari grillini, per esempio, nell’elezione del presidente della Repubblica. Ed è infine attraverso Rousseau che, proprio in questi giorni, vengono selezionati i candidati del M5s al Parlamento europeo. Com’è noto deputati e senatori grillini – pena l’espulsione – sono costretti a obbedire alle deliberazioni di Rousseau (e obbligati a finanziarla con trecento euro al mese di soldi pubblici, cioè prelevati dal loro stipendio). I parlamentari del M5s, tuttavia, non sembrano interessati al suo (mal)funzionamento, non si chiedono a cosa servano i soldi che sono obbligati a versare, né sembrano preoccupati dal fatto che potrebbero stare tutti obbedendo alle decisioni di un solo uomo: un webmaster di quarantatré anni che ha ereditato dal papà una piccola azienda con i conti in rosso, la Casaleggio Associati, e un’intuizione politica formidabile. Ma ciò che pensano i parlamentari grillini è ormai secondario di fronte a un problema che a questo punto investe tutto il Parlamento. Se il presidente della Camera non fosse Roberto Fico, cioè uno di quelli che sottostanno spensieratamente a questi meccanismi, ci si dovrebbe aspettare da lui una difesa dell’istituzione parlamentare, con le stesse parole usate da John Bercow, il presidente della Camera dei Comuni, nel momento più drammatico della Brexit: “Nessuno di voi è un traditore. L’unico dovere di ogni membro del Parlamento risiede nel fare ciò che ritiene giusto”. Una difesa della libertà di coscienza e dell’assenza di vincolo di mandato. Ma se la democrazia è diretta… 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.