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Niente listone per le Europee a sinistra

Marianna Rizzini

Mille parole per dirlo, ma il succo è che ognuno correrà per conto suo 

Roma. Allearsi per le Europee? Pare facile. A voler essere europeisti (specie nel centrosinistra), infatti, c’è da armarsi di grande pazienza: per quanto la causa sia comune (no al sovranismo, no al populismo, sì alla difesa dei princìpi della Ue oltre Brexit e oltre ogni istinto centrifugo), il rompicapo è lì, sul tavolo, e non è detto che qualcuno riesca a risolverlo. La giornata di ieri, poi, pur animata dalle migliori intenzioni, ha offerto (ohimé) spunti per un possibile, ulteriore ingarbugliamento. Ieri, infatti, era il giorno in cui il neosegretario del Pd Nicola Zingaretti incontrava il segretario di +Europa Benedetto Della Vedova. Sullo sfondo, in ogni caso, c’era anche il manifesto “Siamo europei” dell’ex ministro Carlo Calenda, che di buon mattino aveva, proprio in vista dell’incontro tra segretari, twittato una sorta di esortazione-wishful thinking – “oggi +Europa e Pd si incontrano per capire se si può fare la lista unitaria europeista. E’ l’unica soluzione che ci dà una chance di battere la Lega senza disperdere voti. I contenuti del manifesto sono condivisi. E’ il momento di mostrare coraggio”. Antefatto (anzi, antefatti): nei giorni precedenti si era diffusa la notizia che l’ex sindaco arancione di Milano Giuliano Pisapia, voluto da Zingaretti e non da oggi, poteva davvero diventare capolista alle Europee al nord. E però il sindaco attuale in quota Pd, Giuseppe Sala, aveva fatto capire di avere qualche riserva per così dire generazionale: “Va benissimo Pisapia, però attendo che ci sia anche un’apertura ai giovani… Nel nord ovest la lista Pd presumibilmente eleggerà quattro o cinque candidati, non tanti. Se in cima alla lista ci sono solo persone di una certa età, inibiamo la possibilità dei più giovani”.

   

Anche Romano Prodi si era espresso, giorni addietro, proponendo (e il Pd milanese si era detto d’accordo), di esporre sui balconi la bandiera europea il prossimo 21 marzo, anniversario del patrono d’Europa san Benedetto (il segretario del Pd locale Silvia Roggiani aveva definito l’iniziativa un modo “per dimostrare ai sovranisti e nazionalisti al governo del paese che siamo di più e più forti di loro”, e ancora una volta i seguaci di Calenda avevano pensato: ecco, allora, perché no a un bel listone? Ma niente. Anche a volerla prendere dall’altro lato, quello di +Europa, formazione che comunque guarda con favore al manifesto dell’ex ministro, non è tutto semplice quel che pare semplice: i Verdi, infatti, con cui +Europa dialoga, non convergono sul manifesto di Calenda (anzi: hanno detto di non avere “alcuna intenzione di aderire”).

  

Ma che cosa hanno deciso Zingaretti e Della Vedova? Mille parole per dirlo – “distinti ma convergenti”, era la formula di Della Vedova; “distinti ma accomunati dalla battaglia”, era quella di Zingaretti – ma il succo era: ognuno per conto suo. “All’assemblea del partito, il 17, proporrò di promuovere una lista Pd il più possibile allargata”, diceva Zingaretti, cercando di tenere insieme qualcosa di già diviso: “Ci batteremo insieme per il rinnovamento dell’Ue, partendo dal riconoscimento del Manifesto ‘Siamo europei’… Non ci sarà una lista unica, ma promuoveremo liste aperte alle forze migliori per una battaglia per l’Europa che coinvolga più possibile la parte migliore società italiana”. E Della Vedova, sottolineando la diversa collocazione nel Parlamento europeo (nell’Alde invece che nei Socialisti e Democratici, ribadiva: “L’obiettivo è di raccogliere gli elettori con un profilo distinto da quello di quanti si identificano negli eurosocialisti”. Che fare? Sì, il Pd può sempre guardare a sinistra, ai transfughi D’Alema & Bersani, magari, ma una parte del partito, pur sconfitta alle primarie, non gradirebbe (seguirebbe?). Eppure qualche alleato sarebbe utile, anzi fondamentale (ne scaturisce frase tombale di Calenda: “Il no di +Europa al Pd? Grave errore la rinuncia al fronte unitario europeista”).

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.