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Calenda alle Europee col Pd, ma se eletto è pronto a cambiare gruppo

David Allegranti

L’ex ministro sarà capolista nel nord-est, ma fa già sapere che potrebbe iscriversi alla formazione liberale di Macron (se nascerà)

Roma. C’è, di nuovo, un “caso Calenda” nel Pd. L’ex ministro dello Sviluppo economico sarà capolista alle elezioni europee nel nord-est. Una scelta di campo che condiziona molto anche il suo nuovo partito, il Pd, visto che il neosegretario Nicola Zingaretti ha deciso di mettere nel simbolo delle Europee la scritta “Siamo Europei” presa dal manifesto calendiano. Ma anche lo stesso Calenda ha preso un impegno con il Pd: da pochi giorni è stato nominato membro della Direzione nazionale, non è dunque un passante. Mercoledì scorso però se n’è uscito con un tweet – in risposta a un elettore del Pd che gli chiedeva conto di alcune sue scelte – che ha spiazzato molti dirigenti dei Democratici. “Se si creerà un gruppo liberale nuovo (Macron) valuterò se iscrivermi lì”, ha detto l’ex ministro.

   

La questione non è di poco conto ed è rivelatrice; indica che il centrosinistra ha un problema di collocazione a livello europeo che ciclicamente si ripropone. Il Pd, infatti, fa parte del Pse (per scelta di Matteo Renzi segretario, peraltro, risalente al 2014) e il Pse fa parte di S&D, l’alleanza progressista dei socialisti e democratici. Nonostante l’intenzione di un fronte unico contro i sovranisti e i populisti sia ben presente, poi alla fine la democrazia parlamentare deve fare i conti con il fatto che esistono vari gruppi a Bruxelles. Quindi, semplicemente, a un certo punto, gli eletti al Parlamento europeo dovranno decidere, come al solito, di quale far parte. Se da un lato c’è il Pse, dall’altro c’è l’Alde presieduta da Guy Verhofstadt. Se il fronte è unico, i gruppi, insomma, son diversi. Non è chiaro come verrà risolta l’ambiguità, che non è stata sciolta neanche dopo la telefonata di ieri fra Stanislas Guerini, uomo di fiducia di Emmanuel Macron in En Marche!, e Zingaretti. L’idea è, appunto, quella di lanciare un “campo largo” del centrosinistra in opposizione ai sovranisti, “una grande alleanza per fermare la destra populista”. Per questo le liste del Pd saranno il più possibile aperte. Lo aveva già detto, d’altronde, lo stesso Zingaretti alla direzione nazionale del Pd martedì scorso. “L’intuizione di un lista unica era giusta”, ma il Pd deve rispettare le scelte fatte da altri partiti del centrosinistra di correre da soli alle Europee, ha detto il segretario del Pd, avendo tuttavia “l’assillo” di non buttare nemmeno un voto. “E’ evidente che il sistema proporzionale con la soglia del 4 per cento ci pone l’assillo di una proposta nuova, diversa, aperta, e che nemmeno un voto vada disperso”. Questo significa peraltro che Zingaretti cercherà di evitare qualsiasi polemica pur di tenere tutti insieme (gli dà una mano Maurizio Martina, con un tweet: “Bene il Pd protagonista di un’alleanza progressista per la nuova Europa”). I problemi tuttavia restano. Perché le scelte di Calenda fanno discutere (così come pure quella di Sandro Gozi di candidarsi in Francia con En Marche!). Non è normale, dicono nel Pd, dal capogruppo alla Camera Graziano Delrio al sindaco di Pesaro Matteo Ricci, all’ex presidente del Pd Matteo Orfini, che un membro della direzione nazionale di un partito nonché capolista alle elezioni vada altrove. Ma, dice Orfini con una battuta, “ho smesso di cercare normalità in questa fase della politica italiana”. Ora, non è chiaro quali siano gli accordi raggiunti fra Calenda e Zingaretti – può disporre liberamente della candidatura alle Europee e, qualora eletto, andarsene in un gruppo diverso da quello del Pd? Oppure Zingaretti cambierà casa al Pd? Ma come e con quali regole d’ingaggio? – ma il problema politico per adesso resta. Anche perché ci sono molti modi di combattere i sovranisti e non è detto che En Marche! e il Pd condividano la stessa identità. Dirsi europeisti non basta.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.