Il programma Pd alle europee è figlio di N.N.

David Allegranti

Calenda lo sconfessa e rilancia il suo manifesto. Segnali per il dopo Europee?

Roma. Le liste del Pd alle Europee sono inclusive, aperte, trasversali, “da Tsipras a Macron”, per dirla con Nicola Zingaretti. Invece il programma, che in molte parti coincide con quello del M5s – come spiegato dal Foglio martedì scorso – parte da Varoufakis e arriva a Di Maio. Ma soprattutto è figlio di N.N., visto che nessuno ne rivendica la paternità ed è in corso una strana gara a prenderne le distanze. Come Carlo Calenda che, dopo la pubblicazione dell’articolo fogliante, ha ingaggiato uno scontro su Twitter con i “liberali integralisti” – così li chiama lui, cioè tutti coloro che gli hanno fatto notare (a partire da Alessandro De Nicola) che il programma del Pd “è semplicemente sbilanciato a sinistra” – colpevoli di scarsa “collaborazione”. Ma con chi dovrebbero collaborare questi liberali considerati troppo estremisti? Boh.

 

Di fronte però a un’obiezione sulla presenza del salario minimo europeo nel programma del Pd (“gran bufala”, gli scrive un elettore, “come si fa a conciliare con tassazioni, produttività e condizioni generali diverse?”), l’ex ministro dello Sviluppo Economico deve dar ragione ai “liberali integralisti” di cui sopra: “sì”, è una gran bufala, ammette Calenda, “e infatti non c’è nel programma di Siamo europei” (che è il suo movimento-manifesto, il cui logo è presente nel simbolo della lista del Pd per le Europee). Un altro elettore osserva che nelle 10 proposte del Pd mancano alcuni punti cari non solo ai “liberali integralisti” ma anche ai calendiani: gli Stati Uniti d’Europa, l’esercito europeo, il fisco europeo, l’assegno europeo alle giovani imprese. Calenda ancora una volta si dice d’accordo: “Tutti questi punti sono nel manifesto di Siamo Europei adottato dal Pd”, dice l’ex ministro, che dà anche una notizia sul cambio di orientamento di Zingaretti sul CETA (prima era contrario all’accordo commerciale con il Canada, ma oggi “ha cambiato idea a quel che mi risulta”). Insomma, Calenda critica i “liberali integralisti”, che all’occorrenza diventano anche “liberisti ideologici”, dicendo che sono uguali alla “sinistra ideologica”, tipo Bersani, precisa (con la differenza che Bersani, avendo due candidati in lista con il Pd di Articolo 1 fa campagna elettorale per il Pd, quindi anche per Calenda), ma poi dà loro ragione dicendo che il programma del Pd non gli piace e che tutto quello che cercano – il no al salario minimo europeo, il sì al fisco europeo – lo possono trovare nel suo manifesto (che però non è il programma della lista con cui è candidato).

   

Giova, dunque, ricordare alcuni fatti. Calenda, che prende le distanze dal programma del Pd, è candidato capolista del Pd nel Nord Est. Non solo, è membro della direzione nazionale del Pd. Insomma, “Siamo europei” ma pur sempre Democratici. Verrebbe da dire, a voler essere maliziosi: che ci fa candidato se non condivide né il programma né la collocazione europea? A fine marzo, infatti, Calenda ha annunciato la possibilità, una volta eletto, di iscriversi a un gruppo di cui il Pd – almeno per il momento – non sembra intenzionato a far parte, al di là degli slogan aperturisti sulla composizione delle liste elettorali (che poi l’unica macroniana presente, la candidata Caterina Avanza di En Marche! viene da Rivoluzione Civile di Antonio Ingroia: come si cambia, per non morire, cantava la Mannoia). “Se si creerà un gruppo liberale nuovo (Macron) valuterò se iscrivermi lì”, ha scritto l’ex ministro.

 

Insomma, se capiamo la logica calendiana, che naturalmente ha un suo senso, il manifesto di Siamo europei è prevalente sul programma del Pd, un po’ come la Costituzione prevale sul resto, è una questione di gerarchia delle fonti. Calenda sottolinea spesso le differenze e la miglior qualità del suo programma rispetto al Pd di cui è dirigente autorevole, come se fosse in un altro partito. Un’ottima strategia da piccolo partito in un contesto proporzionale, dove per massimizzare i voti si punta sull’identitarismo più spinto (e contro il Pd ha funzionato, tant’è che Zingaretti gli ha regalato mezzo simbolo). Chissà che il suo essere alternativo non sia il preludio per costruire, dopo le Europee, un’alternativa anche al Pd.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.