Matteo Salvini (foto LaPresse)

Salvini nella trappola del Cambiamento

Claudio Cerasa

L’economia che non va. L’allarme del Fmi. Il caso Diciotti. La presa in giro sulla Tav. C’è una novità gustosa nel governo: Salvini è passato dall’attacco alla difesa. Perché il futuro della Lega passa da un accordo con il Quirinale per votare presto

Nella vita del professionista del consenso arriva sempre un momento in cui il politico abituato a giocare in attacco, a muoversi sul filo del fuorigioco, a trasformare ogni tiro in un gol, si ritrova quasi senza accorgersene a fare diversi passi indietro, ad arretrare nella propria metà campo e a sostituire la tradizionale fase offensiva con una improvvisa e sgradevole fase difensiva. Quel momento si manifesta quando il professionista del consenso, arrivato al massimo della sua scalata, non riesce a capitalizzare fino in fondo il valore del proprio gradimento. I sintomi del passaggio imprevisto dalla fase offensiva a quella difensiva sono proprio quelli mostrati in questi giorni dall’unico centravanti puro della politica italiana: Matteo Salvini.

 

Dire che sia in difficoltà un politico che nel giro di cinque anni ha portato la Lega dal 4 per cento al 30 per cento è forse un po’ troppo. Ma dire che per la prima volta dall’inizio della legislatura la traiettoria del Capitano sembra avere imboccato un percorso che si muove più verso una salita che verso una discesa è qualcosa difficile da negare, se solo si mettono insieme un po’ di puntini. Il primo puntino a cui avvicinare la nostra matita riguarda la storia dell’autorizzazione a procedere sul caso della Diciotti e in un certo senso il passaggio plastico dalla fase offensiva a quella difensiva di Salvini è avvenuto proprio sulla zolla di terreno dalla quale il Capitano ha realizzato più gol: l’immigrazione. Salvini, mesi fa, proprio sul caso Diciotti, aveva sfidato la magistratura a indagarlo, a processarlo e persino ad arrestarlo, rivendicando il diritto da parte di un politico a considerare il dovere di rispettare il mandato elettorale più importante del dovere di rispettare la legge. Oggi, grazie ai suggerimenti dell’avvocato Giulia Bongiorno, la prima preoccupazione del ministro dell’Interno è invece proprio evitare il processo e quella che doveva essere per Salvini un’operazione win-win si è trasformata in un’operazione lose-lose.

 

Se la prossima settimana la giunta per le Immunità darà il via libera all’autorizzazione a procedere non ci sarà nulla da festeggiare e non ci sarà nessun “assist elettorale”, perché le possibilità che il ministro abbia commesso alcuni dei reati contestati sono reali. E allo stesso modo se la giunta, come sembra, non darà il via libera all’autorizzazione a procedere, ci sarà da festeggiare per aver scampato un processo pericoloso e aver salvato il governo: ma per Salvini ci sarà poco da festeggiare, perché da quel momento in poi il ministro raccoglierà i frutti del suo stesso giustizialismo seminato per anni passando velocemente dallo status di “Lo chiamavano Trinità” allo status di “Lo chiamavano Immunità”. La fase difensiva messa in campo da Salvini vale su questo terreno ma vale anche su molti altri terreni come possono essere quelli legati all’economia. La forza del Capitano finora è stata quella di interpretare contemporaneamente il ruolo del maschio alfa del governo e il ruolo della perfetta alternativa al matrimonio populista ma giorno dopo giorno la forza dei numeri negativi relativi all’Italia renderà più difficile per Salvini giocare la parte della vittima di ciò che sta combinando il suo stesso governo. Vale quando si parla di crescita e giusto ieri il Fondo monetario ha ricordato che la strategia dell’esecutivo corre il rischio di lasciare “l’Italia vulnerabile a una nuova perdita di fiducia del mercato” e che “uno stress acuto in Italia potrebbe spingere i mercati globali in territori inesplorati”. Vale quando si parla di infrastrutture e quando si parla di Tav e più passerà il tempo più sarà difficile per Salvini spiegare per quale ragione un partito nato per difendere il nord ha lasciato il ministero delle Infrastrutture a un partito eterodiretto da un politico che considera “una stronzata” la Tav e che per “fare quel buco inutile” dice al leader della Lega “beh, tornasse da Berlusconi e non rompesse i coglioni”. Vale in fondo quando si parla anche di alleanze europee e Salvini sa bene che il sovranismo può essere venduto bene in campagna elettorale ma diventa inevitabilmente un ossimoro quando si parla di alleanze in Europa, e non esiste sovranista disposto a essere solidale con paesi che chiedono all’Europa maggiore solidarietà.

 

E’ vero: i sondaggi per il momento fotografano una Lega ancora forte, anche se la nascita in Lombardia di un movimento parallelo alla Lega guidato dal governatore Attilio Fontana per attrarre gli elettori di centrodestra che non si riconoscono nella Lega potrebbe essere un segnale più di debolezza che di forza del Capitano. Ma ciò che il ministro sa meglio di chiunque altro è che oggi l’unico partito che ha qualcosa da perdere nel rimanere immobile di fronte ai problemi e ai disastri del governo è proprio la Lega, non il Movimento cinque stelle. E dunque la domanda giusta da porsi oggi non è “se” la Lega sia in un pasticcio con questo governo ma è come proverà a uscire da questo pasticcio dopo le europee. E qualora i sondaggi di oggi dovessero essere confermati, le strade possibili sono tre. Prima strada: Salvini chiede a Di Maio di dare alla Lega due ministeri pesanti, Infrastrutture e Sanità. Seconda strada: Salvini, di fronte a un no di Di Maio, chiama la crisi di governo, tenta di trovare in Parlamento i voti che mancano al centrodestra per formare un governo, 18 senatori, 50 deputati, non impossibile, e in caso contrario, terza strada, prova a stringere un patto con il presidente della Repubblica per tornare al voto a settembre. E’ quello che in Parlamento chiamano “il gioco delle tre carte di Salvini” ma è un gioco che a sua volta rischia di essere un bluff per una ragione che Salvini conosce bene e che possiamo sintetizzare con una risposta che ci ha offerto ieri un deputato del Pd sotto la garanzia dell’anonimato.

 

Domanda: ma se dopo le europee Salvini dovesse rompere, il governo Pd-M5s è davvero una cosa impossibile? Risposta: “Dipende dai sondaggi e dal voto delle europee. Se siamo sopra noi, sopra il M5s, si potrebbe anche fare”. Il caso Diciotti ci dice molte cose sullo stato di salute del governo ma ce ne dice una in particolare sul futuro del salvinismo: la consapevolezza improvvisa che il governo del cambiamento non è più un semplice trampolino ma rischia di diventare rapidamente una trappola e che l’unica possibilità di capitalizzare il consenso è mettersi la cravatta, stringere un patto con il Quirinale e tornare a votare.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.