Matteo Salvini (foto LaPresse)

Il Truce e una piccola questione morale. I like

Giuliano Ferrara

Chattari stellati votano se i giudici debbano occuparsi del ministro dell’Interno che ha twittato per l’arresto di un pugno di naufraghi di pelle nera. Una faccenda da teatro dell’assurdo 

Una ristretta folla di chattari stellati, I like I don’t like, votano lunedì su una questione nazionale non irrilevante: se i giudici debbano occuparsi del ministro dell’Interno, il Truce che ha twittato per l’arresto (legale? illegale?) di un pugno di naufraghi di pelle nera, bloccando o sequestrando la Diciotti, nave della Guardia Costiera italiana che aveva salvato gli affogandi e li aveva portati in un porto sicuro secondo le regole, scatenando con modalità surreali la sua campagna politica e propagandistica per tenere i negher fuori dalle balle. Formulata così, è una faccenda da teatro dell’assurdo. I porti legalmente non sono mai stati chiusi, in brutta e dovuta forma, eppure un politico demagogo alla testa di un’istituzione di sicurezza e garanzia per tutti ha preso per sé, alla Bolsonaro, il ruolo del giustiziere che libera la patria dagli invasori e dai delinquenti potenziali. In cambio di consenso, di voti, di popolarità buonsensaia.

 

 

Una piccola minoranza di cittadini iscritti a una piattaforma del web, Rousseau, che è padrona e signora del partito di maggioranza relativa, i Cinque stelle, consegnerà al suo dominus, Casaleggio, con metodi da ordalia barbarica detti di democrazia diretta, un parere che vincola i parlamentari eletti a votare per o contro l’immunità giudiziaria a scudo del Truce. Perché per i parlamentari oggi si può istruire un processo senza bisogno di sentire il Parlamento, ma per i ministri l’articolo 68 è sopravvissuto: non si può togliere l’immunità al signor ministro e senatore senza un voto. Da quando tutti questi qui avevano i calzoni corti noi diciamo che il vaglio delle assemblee elettive sugli atti di indagine e incriminazione dei magistrati è sacrosanto. I Padri costituenti sapevano, perché scemi non erano, che l’articolo 68 della Carta, con il quale appunto si proibiva di andare contro un eletto del popolo senza l’autorizzazione delle Camere, poteva essere oggetto di abuso e trasformarsi in uno scudo a difesa di comportamenti illegali sul fondamento della solidarietà di casta (cosa spesso avvenuta in passato, ma non sempre, ovviamente). Ma i Padri, ex articolo 68, preferirono che quel vaglio ci fosse, perché senza di esso finisce il principio liberale classico della divisione dei poteri, e la magistratura ha licenza di esercitare una supplenza indegna di un paese civile. Quindi, se prendessimo per buona questa recita di democrazia diretta, saremmo chiamati a rispondere a questa domanda: pensi tu che sia politicamente opportuno mettere in piedi un dibattimento, con la sua logica di accertamento probatorio, in cui l’accusato è un ministro e l’accusa è per lui di essersi malamente barcamenato fra leggi e regolamenti per ottenere uno scopo politico crasso e basso al di fuori del dettato della legge? Se abbia fermato un’invasione sulla base dei suoi poteri o abbia sequestrato i naufraghi negher e i loro custodi, ecco, è questione degna di un processo o no?

 

Per come sono andate le cose, per la stupefacente indifferenza istituzionale del ministro alle norme consolidate di vari ordini di diritto (compreso il diritto marittimo), uno dovrebbe dire di sì, toglietegli l’immunità e poi si vede. Magari si dimostrerà in dibattimento che non ha arrogato per sé prerogative non sue, e tanti auguri, magari verrà messo un fermo a pratiche bulle e insopportabili di dileggio delle norme e di accaparramento dell’opinione con una sanzione. Che gli stessi che hanno eretto le forche della Repubblica ora vogliano sottrarre un loro beniamino al patibolo, che poi è un normale processo, è meno comprensibile. Che uno in veste pubblica se ne scappi via, dopo aver detto che non mollava, che tirava diritto, che non chiedeva aiuto a nessuno, dopo aver irriso la magistratura aprendo a favore di telecamera gli avvisi di garanzia e dichiarandosi prigioniero politico, e se ne scappi via con la soluzione di sicurezza immunitaria che è stata negata ad altri parlamentari fra gli applausi leghisti e grillini e altra masnada forcaiola, bè, questa è una piccola questione morale che non interessa a nessuno, ma in fondo è la questione. E ora al voto, pallidi chattari.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.