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La Tav mette in crisi le coscienze sviluppiste del governo. Parla Picchi (Lega)

David Allegranti

La Tav insomma si fa, dice Picchi, anche se servono nuovi accertamenti. Difficile che le due anime del governo possano durare a lungo

Roma. Il governo Lega-Cinque stelle è attraversato da diverse linee di frattura ideologiche, una di queste riguarda le infrastrutture. Prendiamo la Tav. Se potesse, il M5s fermerebbe tutte le grandi opere, a cominciare dalla Torino-Lione. Il ministro Danilo Toninelli davanti alla commissione Lavori Pubblici del Senato ha detto che intende “ridiscutere integralmente il progetto”, valutando gli “eventuali costi di tutte le alternative, compresa quella di recedere dalla prosecuzione dell’opera”. Il gruppo M5s a Torino, intanto, si è portato avanti e ha depositato in Comune un ordine del giorno per chiedere al governo di fermare i lavori della Tav, in attesa delle verifiche. Il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire, che ieri ha incontrato Luigi Di Maio e il ministro Giovanni Tria, ha detto di non essere scioccato dall’attendismo del nostro esecutivo: “Aspettiamo la posizione ufficiale del governo italiano, siamo pazienti”.

 

Ma la Lega – l’altra metà sviluppista del cielo del governo Conte – che ne pensa? Guglielmo Picchi, sottosegretario agli Esteri, leghista, ex italo-forzuto, possibile candidato sindaco del centrodestra a Firenze, la mette così: “Credo che vada velocemente rianalizzato il progetto – dice al Foglio – individuando se sia possibile limitare l’impatto ambientale e il disagio per le comunità locali. Se possibile fare opere compensative, altrimenti finire velocemente”. Niente stop quindi? “Direi di no. Però un rallentamento riflessivo per le tutele ambientali e una ri-verifica di tutto il progetto credo sia necessario e condivisibile”.

 


Guglielmo Picchi con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte (foto LaPresse)


  

La Tav insomma si fa, dice Picchi, anche se servono nuovi accertamenti. Difficile che le due anime del governo possano durare a lungo. Anche perché se dovesse passare definitivamente la “dottrina Bonafede”, in senso di Alfonso, ministro della Giustizia, si metterebbe male non tanto per i rapporti Lega-Cinque stelle ma per lo sviluppo infrastrutturale italiano: “Il nostro programma resta quello di rivedere tutte le grandi opere pubbliche inutili. Anche quelle già decise: nei margini in cui si può fare”, aveva spiegato Bonafede prima di diventare ministro. Essere contro la Tav per i Cinque stelle è dunque un riflesso condizionato. I vari gruppuscoli “no-qualcosa” sono parte della constituency elettorale del partito di Casaleggio e Grillo. Basti pensare allo stesso Bonafede, che nasce come avvocato difensore dei No Tav e che in Toscana da tempo ha avviato una crociata contro lo sviluppo dell’aeroporto di Firenze. Anche Matteo Salvini nei giorni scorsi è intervenuto spiegando che “occorre andare avanti e non tornare indietro”. Sortita che Toninelli ha giudicato solo una “posizione personale”.

 

Se alla fine la Lega cedesse anche su questo, dopo aver già fatto arrabbiare gli imprenditori del nordest con il decreto Di Maio, allora avrebbe ragione il portavoce di Forza Italia, Giorgio Mulè: Salvini, ha detto al Foglio un paio di giorni fa, rischia di fare la fine di Renzi e “la sua azione di governo contraddice quello che ha sempre detto. I Cinque stelle lo fanno ballare sul decreto dignità, sulla Tap, sulla Tav, sull’Ilva. Su tutto ciò che non riguarda qualche barcone, Salvini perde la verve e la capacità di essere incisivo. Su tutti i temi esiziali, la Lega diventa silente o susseguente e si sveglia solo se c’è Forza Italia che le rompe le scatole, come sui voucher e le partite Iva”. Un conto è esercitare egemonia culturale su un’emergenza migranti che non c’è, un altro conto è confrontarsi con i problemi concreti del paese. Come la mancanza di infrastrutture.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.