Foa specchio dell'Italia gialloverde. Fake news di Di Maio sulla Tav

Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 31 luglio 2018

Al direttore - Nella sua consueta rubrica Massimo Bordin giudica “inappuntabile” il mio operato al ministero (della Giustizia) ma osserva: “Quel processo (alla cosiddetta Trattativa, ndr) vede Martelli come una specie di motorino di avviamento”. E la mia colpa sarebbe di aver riferito ai magistrati di Palermo le strane richieste dei Ros dei carabinieri a suo tempo raccontatemi da Liliana Ferraro, mentre sarebbe bastato rispondere: “Tutti hanno fatto quel che dovevano, andate al diavolo”. Bordin sa benissimo che il testimone giura di dire la verità e di non omettere nulla e che dell’uso che fanno delle sue parole rispondono i magistrati non il testimone. Per parte mia ho sempre distinto tra responsabilità politiche che sono conclamate e responsabilità penali non dimostrate. Anche per questo ho più volte criticato pubblicamente l’indagine di Ingroia e Di Matteo mentre lealmente deponevo quanto a mia conoscenza. Eppure Bordin con un giro di parole che è peggio di un’accusa esplicita mi imputa mancanza di coraggio perché anziché “sopire e troncare” (questo manzonismo è mio, ndr) io e la Ferraro abbiamo avuto il coraggio di parlare. Per questo abbiamo affrontato polemiche, ritorsioni e soprattutto l’insofferenza di quei magistrati che avrebbero voluto sentirci dire più di quel che sapevamo. Altro che don Abbondio! Mafia o antimafia noi il coraggio lo diamo a noleggio.

Claudio Martelli

 


 

Al direttore - All’ultimo momento, in vista dell’incontro per l’Ilva, dal ministero dello Sviluppo economico è partita una 63esima convocazione. Giggino De Rege aveva dimenticato di invitare la procura di Taranto.

Giuliano Cazzola

 


 

Al direttore – A proposito di Foa, dell’ostracismo e dell’opposizione in difficoltà. Tutto iniziò quando per tigna antica, per miopia politica, per pusillanimità dei soggetti coinvolti fu fatto saltare il Nazareno. L’Old boy e il Royal Baby non ebbero una comune, scanzonata, determinazione di buttare all’aria i vecchi riti e liturgie dell’anchilosata Prima Repubblica. Nazareno convinto, robusto, gestito con acume, avrebbe relegato Grillo in cantera di fondo. Occasione persa. Ritentare con la comune opposizione a Marcello Foa, costruita sui gossip, è roba da fiera di paese. Lo sa vero, che né il Pd, né FI hanno chiaro cosa vogliono fare, politicamente? Distinguere tra mossa politica e convenienza personale è improprio. La prassi seguita è sempre stata di farle coincidere. Si può vincere una battaglia, ma si perde la guerra. Lo sdegno sprecato, vero, ma le masse votanti ci vivono sopra aggiungendovi falsi idoli e rancori.

Moreno Lupi

Sdegno sprecato ma il tema non cambia: Foa ha il diritto di rappresentare l’Italia gialloverde (e la rappresenta splendidamente) ma se ciò che resta di Forza Italia accetterà di votare alla presidenza della più importante azienda culturale d’Italia un presidente anti vaccinista, complottista, anti atlantista, anti europeista, che prova “disgusto” per il presidente della Repubblica, farà una scelta di campo precisa dalla quale difficilmente potrà tornare indietro. Auguri.

 


  

Al direttore - Ho letto sul Corriere della Sera di sabato un’intervista interessante al ministro del Lavoro (del Lavoro?) Luigi Di Maio. Di Maio dice che non ci sarebbero penali nel caso in cui l’Italia rinunciasse alla Torino-Lione. E dice esplicitamente che quando il ministro Toninelli incontrerà il suo omologo francese gli proporrà di “ripensare un progetto ideato trent’anni fa” perché “non ci sono penali in caso di revisione”. Ha ragione o è una fake news?

Marco Martoni

Fake news. Vediamo qualche dato. Primo punto. Per la Torino-Lione sono già stati spesi 1,4 miliardi di euro per le opere preliminari. Di questi oltre un miliardo provenivano dall’Ue (700 milioni circa) e dalla Francia (350 milioni circa). Chi li risarcirebbe? Topolino? Paperoga? Rousseau? Secondo punto. Se consideriamo i costi per la chiusura dei cantieri esistenti e per la messa in sicurezza degli scavi, oltre a possibili contenziosi con le imprese che hanno già ottenuto l’incarico per i lavori, si arriva a due miliardi di euro (dati della presidenza del Consiglio). Di Maio ha già mostrato di non avere problemi a prendere decisioni che eliminano posti di lavoro (8.000 posti di lavoro in meno grazie al decreto dignità-tà-tà) e lo stesso potrebbe succedere facendo i discoli sulla Tav. Di che parliamo? Sempre secondo le stime della presidenza del Consiglio, saranno circa 2.000 le persone direttamente impegnate in Italia nella realizzazione della nuova linea e i cantieri indurranno una media di 4.000 occupati indiretti. Avete fatto la somma? Siamo ad altri 6.000 posti in meno. In più, nella fase di esercizio della nuova linea Torino-Lione, è previsto che verranno creati altri 500 posti di lavoro, a regime. Siamo a 6.500. E poi c’è la storia più spassosa che è quella dell’impatto ambientale. La composizione del traffico che attraversa l’arco alpino occidentale oggi funziona così: il 91 per cento del trasporto è su strada e solo il 9 per cento su ferrovia. Traduzione: ogni anno passano sulle strade 2,7 milioni di tir. La Tav dunque permetterebbe di riequilibrare questo squilibrio. Ma Di Maio dice che bisogna ascoltare la gggente. E tutto questo senza contare il danno per l’affidabilità dell’Italia (grandi opere vade retro) e gli 813 mln di finanziamento europeo per il 2014-2019 già stanziati. In sostanza Di Maio fingendo di fare gli interessi dei cittadini (ma quali, ma dove, ma cosa?) si muove contro l’interesse nazionale facendo di tutto per eliminare altri posti di lavoro (6.500 più 8.000 è un buon curriculum per il ministro del Lavoro) e per isolare ancora di più l’Italia dall’Europa. Good job.

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