Carnevale di Viareggio (LaPresse)

Serve un surplus di ottimismo contro i professionisti della paura

Claudio Cerasa

Gli imprenditori della paura hanno un business chiamato emergenza e lo usano come un taxi. Per affrontare i populismi non serve però cadere nelle trappole del pessimismo. L’unico salvacondotto è un mix fatto di ottimismo e principio di realtà. Chi ci sta?

Essere ottimisti in un momento in cui buona parte del mondo viene assediato, aggredito, dominato dai pessimisti non è semplice, perché in base ai canoni del pensiero unico essere ottimisti oggi significa essere contro una nuova razionalità assoluta e incontestabile che si chiama sfascismo. Essere sfascisti non vuol dire essere necessariamente dei cugini postumi dei fascisti (è così solo in alcuni casi). Significa far parte di una categoria di persone che ha scelto di costruire una propria identità politica sulla base esplicita dello sfascio, sull’idea cioè che l’unico modo per garantire un buon futuro ai nostri figli sia dimostrare che tutto quello che è stato fatto in passato deve essere sfasciato perché a farlo è stato qualcun altro. Lo sfascismo si basa sulla necessaria rimozione del passato ma si basa anche su un altro elemento cruciale, che si trova in modo più o meno involontario al centro del dibattito politico di questi giorni. E’ un tema che c’entra quando parliamo di vitalizi. Che c’entra quando parliamo di costi della politica. Che c’entra quando parliamo di immigrazione. Che c’entra quando non parliamo di economia. Che c’entra ogni volta che il mondo viene descritto per quello che sembra e non per quello che è. E’ un tema che abbiamo affrontato già molte volte, quello della distanza tra società reale e società virale, ma è un tema che oggi merita di essere rimesso a fuoco perché ci permette di fotografare la vera ragione per cui il governo populista è destinato a non avere una vita lunga. 

  

L’unico modo per combattere i professionisti della paura è smascherare la loro pericolosa truffa: ci si occupa dei problemi fittizi che si trovano in cima all’agenda della percezione solo per dribblare i problemi reali. Meglio parlare dei vitalizi che parlare della fuga degli investimenti dall’Italia. Meglio parlare di flessibilità che parlare di produttività. Meglio parlare di pensioni d’oro che parlare di crescita. Meglio parlare di moralismo che parlare di efficienza

Gli sfascisti, oltre a teorizzare la necessaria rimozione del passato, teorizzano anche la necessaria rimozione del presente e per giustificare la propria appartenenza al partito della ruspa sono costretti spesso a negare la realtà e a costruirne una a propria immagine e somiglianza. Una realtà che tra le tante caratteristiche ne ha una che si trova al centro della narrazione populista: il mondo è uno sfascio, è uno schifo, è un disastro, e chiunque abbia una visione positiva sul presente e sul futuro è un pericoloso nemico del popolo. Geniale, no? Per questo, coloro che in modo fiero appartengono al partito unico dello sfascio hanno il dovere di trasformare ogni problema in un allarme e ogni guaio in un’emergenza: più il mondo sarà percepito come un mondo che non funziona e più verrà alimentata una domanda elettorale finalizzata a dare un sostegno al partito del cambiamento.

 

Il principio vale nel corso della campagna elettorale ma vale anche quando la campagna elettorale è finita e quando magari si arriva a guidare un governo. Se tu hai costruito consenso sulla base di una paura che hai contribuito ad alimentare, il tuo interesse sarà quello di continuare a tenere alta quella paura e di creare una domanda di protezione sempre più alta che solo tu potrai risolvere. Lo schema della paura percepita vale su molti campi, ma vale prima di tutto sul tema dell’immigrazione. E il cortocircuito che si è andato a creare la scorsa settimana con lo sbarco della nave Diciotti è la perfetta fotografia di cosa significhi trasformare problemi risolvibili in allarmi nazionali. Lasciamo perdere il dato politico dello schiaffo ricevuto dal ministro dell’Interno – non voleva far attraccare la nave a Trapani, non voleva far sbarcare i profughi, voleva vederli scendere dalla nave solo con le manette, e alla fine la nave ha attraccato, i profughi sono sbarcati e nessuno è stato arrestato – e occupiamoci del dato per così dire sociologico e culturale.

 

Che cosa è successo con la nave Diciotti? E’ successo quello che probabilmente avrete capito. Salvini ha trasformato da tempo il tema degli sbarchi dei migranti in Italia in un’emergenza nazionale. I dati sugli sbarchi dicono però che almeno da quel punto di vista l’immigrazione non è più un’emergenza. E’ un tema da governare, sì, ma non un’emergenza

 

I numeri sono questi. Dal primo gennaio 2018 al 13 luglio 2018 il numero di sbarchi in Italia è stato del 78,06 per cento inferiore rispetto al 2016 e dell’80,16 per cento inferiore rispetto al 2017. Nel 2017, gli arrivi provenienti dalla Libia erano a quota 82.820. Nel 2018, gli arrivi provenienti dalla Libia sono arrivati a quota 11.602.

 

Salvini sa perfettamente che gli sbarchi in Italia sono un problema da governare, non un’emergenza, ma non potendosi permettere di dire che l’emergenza non c’è (ci ha costruito una campagna elettorale) è costretto ogni giorno ad alzare l’asticella della paura, trasformando ciascuno sbarco in un’emergenza e arrivando a vivere situazioni follemente paradossali come quelle vissute giovedì sera, quando uno sbarco tutto sommato ordinario si è trasformato in un’emergenza politica solo perché il ministro dell’Interno aveva deciso di far diventare un evento di ordinaria amministrazione un evento epocale da fermare a ogni costo.

 

Gli imprenditori della paura, lo sappiamo, hanno un business chiamato emergenza e il loro fatturato di solito è direttamente proporzionale agli allarmi generati. Ma al contrario di quello che si potrebbe credere – e qui arriviamo ai nostri giorni – a pagare il prezzo della politica della paura non sono solo i profughi tenuti in ostaggio su un’imbarcazione: è prima di tutto, se ci consentite senza retorica, il futuro dell’Italia. Diciamo questo non per questioni vuote legate all’umanità o alla disumanità di una politica al posto di un’altra ma perché quando un governo trasforma l’agenda della percezione nella priorità di un paese, a farne le spese sono prima di tutto i problemi reali di una nazione. Questo non significa che l’immigrazione irregolare non sia un tema da affrontare con severità e con attenzione e questo non significa negare che in Italia esistano casi in cui l’immigrazione non regolata abbia contribuito a far aumentare in modo legittimo l’insicurezza di alcuni pezzi di paese.

 

Significa fare un ragionamento diverso. Significa rendersi conto che l’unico modo possibile per combattere i professionisti della paura è smascherare la loro pericolosa truffa: ci si occupa dei problemi fittizi che si trovano in cima all’agenda della percezione solo per dribblare i problemi reali. Meglio parlare dei vitalizi che parlare della fuga degli investimenti dall’Italia (secondo le stime dell’agenzia Reuters basate su dati forniti dalla Banca centrale europea attraverso il sistema dei pagamenti transfrontalieri Target 2, la quota di investimenti persi dall’Italia da maggio a oggi è pari a 55 miliardi). Meglio parlare di flessibilità che parlare di produttività. Meglio parlare di pensioni d’oro che parlare di crescita. Meglio parlare di moralismo che parlare di efficienza. Potremmo andare avanti per ore a spiegare cosa rischia un paese che si concentra più sulla fuffa che sulla realtà. Ma il nostro articolo non si può concludere senza esplicitare un elemento cruciale da tenere a mente per dare un senso compiuto al nostro ragionamento.

 

Un elemento che riguarda un rischio che l’Italia può correre nei prossimi mesi: ribellarsi al pessimismo sfascista con un surplus di pessimismo moralista. Per quanto possa sembrare paradossale, lo sfascismo non lo si affronta con un’aggiunta di disfattismo ma lo si neutralizza con un’aggiunta di ottimismo. Essere ottimisti verso il futuro, e verso il presente, è l’unico vaccino possibile contro l’egemonia del pensiero unico sfascista. Perché parlare del mondo per quello che è, e non solo per quello che sembra, è l’unico modo per occuparsi dei problemi reali di un paese e per non prendere in giro gli elettori. Il salvacondotto contro lo sfascismo è l’ottimismo. E per combattere la società dello sfascio mai come oggi bisogna aggrapparsi all’unico antidoto possibile alla politica della post verità: il principio di realtà. Essere ottimisti nell’era del pessimismo. A Firenze, il 27 ottobre, alla nostra festa dell’ottimismo partiremo proprio da qui.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.