Luigi Di Maio ospite a Porta a Porta (foto LaPresse)

Come il grillismo è stato azzoppato dal suo vocabolario della gogna

Claudio Cerasa

Quando la politica si consegna alla repubblica delle manette, difendersi da una accusa non si può. Le cinque parole che hanno trasformato l’Italia nel paradiso della forca (e che inghiottiranno anche il grillismo)

Fa più male uno sputo o fa più male un processo? Da qualche tempo a questa parte, come racconta oggi magnificamente sul Foglio Salvatore Merlo, parlare di Roma non significa parlare più solo di inefficienza, di incapacità, di inadeguatezza, di incompetenza, ma significa anche parlare molto di giustizia, di inchieste, di illegalità, di tribunali, di marazzoni, di intercettazioni, di poteri loschi, di indagini più o meno forti, di accuse più o meno credibili. Non da oggi, naturalmente, ma ai tempi della scatola vuota del grillismo, ai tempi della politica legittimata a fare politica solo se rinuncia a fare politica, come anti casta comanda, le inchieste della magistratura, quando “sfiorano” la politica, e diciamo sfiorano perché l’inchiesta di Roma è un colpo al cuore del grillismo, più tendenza Di Maio che tendenza Raggi, hanno un suono diverso, o meglio un rimbombo diverso. Hanno il suono non di una semplice accusa ma di una condanna definitiva, perché quando la politica si svuota, specie se quella politica con il giustizialismo cialtrone ci è andata spesso a nozze, difendersi da un’indagine non è più possibile.

 

La storia la conoscete e ve l’abbiamo raccontata molte volte: se abitui i tuoi elettori a considerare un’accusa come una condanna, un’intercettazione come una sentenza, un processo in un talk-show infinitamente più importante di un processo in un un’aula di tribunale, difenderti è impossibile, perché la difesa è incompatibile con la cultura della gogna e perché quello che tu, tu giustizialista, hai sempre chiamato “innocentismo” in realtà non era altro che puro “garantismo”.

  


C’è un vocabolario formato da alcune parole di fronte alle quali ciascuno di noi si ritrova a fare i conti ogni volta che vi è un’inchiesta giudiziaria che colpisce il mondo della politica. Cinque parole: “Sistema”, “Spunta”, “Sodalizio”, “Sfiorato”, “Graziato”. Il grillismo (insieme con il leghismo) ha avvelenato i pozzi della politica. E la politica avvelenata prima o poi darà anche al grillismo il colpo finale


    

A Roma, dove non c’è difesa possibile né per un grillino indagato né per uno sfiorato, stiamo assistendo a uno spettacolo più o meno di questo tipo. Dove i moralisti sono vittime del moralismo da loro alimentato. Dove chi ha trasformato la cultura del sospetto nell’anticamera della verità sta scoprendo che il sospetto è l’anticamera del khomeinismo. Dove il finto puro sta scoprendo che a forza di fare i puri prima o poi si incontrerà sulla propria strada uno ancora più puro che ti epura (di questo passo il prossimo sindaco di Roma sarà il movimento cinque forche guidato dal generale Pappalardo). Dove c’è tutto questo e dove c’è molto altro. Perché accanto a questi elementi di riflessione ce n’è uno altrettanto importante che riguarda la vera ragione per cui chiunque oggi abbia un legame con la politica e sia accusato di aver commesso un reato non può difendersi.

 

C’entra con lo spirito della gogna, con la cultura della forca, ma c’entra anche con un vocabolario molto particolare attraverso il quale da anni l’opinione pubblica italiana ha accettato di stringere l’occhio alla feccia giustizialista. Un vocabolario formato da alcune parole di fronte alle quali ciascuno di noi si ritrova a fare i conti ogni volta che vi è un’inchiesta giudiziaria che colpisce il mondo della politica. Cinque parole: “Sistema”, “Spunta”, “Sodalizio”, “Sfiorato”, “Graziato”.

     

Il linguaggio della gogna, si sa, è il linguaggio della menzogna ma grazie al linguaggio della gogna la menzogna spesso diventa verità. E quando ci troviamo di fronte a un’inchiesta spesso le nostre difese contro la post verità giudiziaria risultano deboli perché il metodo della forca è nascosto nelle parole che usiamo. Per essere colpevoli fino a prova contraria non è necessario essere condannati, è sufficiente essere parte di un sistema. E che cos’è un “sistema” nel linguaggio della forca?

  

Potremmo definirlo così: la creazione di una nube tossica che avvolge in modo letale chiunque sia anche solo sfiorato da un’inchiesta giudiziaria. Il sistema, per essere tossico, non ha bisogno di essere criminale ma può essere anche semplicemente il network che gravita attorno a un uomo o una donna indagati.

 

Esempio. Tizio è sospettato di aver commesso insieme ad altre persone un qualsiasi tipo di reato? Se definisci quell’insieme di persone “un sistema” avrai la certezza di condannare per sempre quelle persone a un processo mediatico senza appello (si può essere accusati di un reato senza averlo commesso, ed eventualmente “farla franca”, ma se sei accusato di essere “vicino” a “un sistema”, sarai per sempre sospettato di essere stato parte di un sistema immorale, se non criminale). Ma per far parte di un sistema è sufficiente che il tuo nome “spunti” in una qualche intercettazione relativa a un nome indagato e a volte è persino sufficiente che un indagato parli di te senza che tu sia indagato per essere “coinvolto” in un’inchiesta. Nella grammatica giustizialista funziona così. E basta che un sindaco parli al telefono con un pubblico ufficiale scelto dal sindaco e accusato di corruzione per far sospettare che anche il sindaco sia legato a quel “sistema”. Non è così, ma funziona così.

    

E qui arriviamo al secondo termine. Proprio quello: “spunta”. Vi siete mai chiesti che cosa si vuol dire quando si dice che il nome di Tizio “spunta” in un’intercettazione? Vuol dire proprio quello che sospettate: un nome che “spunta” in un’intercettazione, senza essere indagato, non è un nome che ha una rilevanza a livello penale ma ha una sua rilevanza a livello morale.

 

Problema: può essere del tutto integro Tizio se viene “beccato” a parlare con l’indagato Caio? Anche se Tizio “spunta” senza essere indagato, una volta che Tizio “spunta” in un’inchiesta non ha bisogno di essere indagato per essere condannato. La condanna per Tizio che “spunta” è ovviamente morale. Se parli con un indagato, non puoi che essere parte del network, del “sistema”, di quell’indagato.

 

Lo stesso vale per la terza parola: “Sodalizio”. Nel linguaggio giuridico, il sodalizio indica un’associazione sospettata di essere criminale, ma nel linguaggio cronachistico l’espressione “sodalizio” viene utilizzata per indicare qualcosa di diverso: l’esistenza di un rapporto molto stretto tra una persona sospettata di aver commesso qualcosa e un’altra persona non indagata che per varie ragioni “spunta” nelle carte di un’inchiesta. I giudici usano l’espressione “sodalizio” per certificare l’esistenza di un patto occulto. I principi del giustizialismo usano invece l’espressione “sodalizio” per alludere a qualcosa che non possono dimostrare: l’esistenza di un patto sospetto tra un indagato e una persona che pur non essendo indagata si vuole in qualche modo incastrare.

 

Esempio. Se Di Maio non fosse stato Di Maio e Lanzalone non fosse stato Lanzalone, Di Maio avrebbe probabilmente detto che non si può non sospettare che quello tra Di Maio e Lanzalone sia qualcosa di simile a un “sodalizio”. Chiaro? Chiaro.

  

Restano due parole: “sfiorato” e “graziato”. La parola “sfiorato” è una delizia usata spesso dai giornalisti e dai politici che non hanno prove per dimostrare che il nome di una persona che “spunta” possa essere inquadrata nella cornice dei nomi “coinvolti” in un’inchiesta. Ma se si dice che sei stato sfiorato da un’inchiesta, e che dunque sei andato vicino a essere stato toccato, stai provando a fare di tutto per avvicinare il nome della persona in questione a un’inchiesta in cui non c’entra nulla. I magistrati con piglio mediatico, quelli cioè che nei fascicoli giudiziari tendono a inserire il numero maggiore possibile di elementi utili a condannare un indagato “e il suo sistema” e “la sua cricca” sia dal punto di vista penale sia dal punto di vista morale, sanno che in alcuni casi l’esito di un’inchiesta dipende anche dalla cassa di risonanza che quell’inchiesta può avere a livello mediatico, e se l’inchiesta su Parnasi e Lanzalone fosse stata affidata a una qualche procura spericolata, chissà quanti bocconcini sarebbero stati offerti ai giornalisti e ai politici che sognano di distruggere il grillismo con le stesse armi con cui il grillismo ha distrutto i suoi avversari.

               

Il vocabolario della gogna è importante da mettere a fuoco non solo per misurare il termometro del giustizialismo del nostro paese ma anche per spiegare in che senso per un moralista moralizzato non ci sono possibilità di fuga: combattere il processo mediatico dopo averlo alimentato è come bruciare ogni giorno un campo di grano e stupirsi se poi il grano non cresce. Il grillismo (insieme con il leghismo) ha avvelenato i pozzi della politica. E la politica avvelenata prima o poi darà anche al grillismo il colpo finale. Si comincia da Roma. E non sarà un bello spettacolo.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.