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I moralizzatori moralizzati possono sfasciare lo stato di diritto. Lo show estremista

Claudio Cerasa

I quarantanove milioni che la Lega deve restituire. I sindaci grillini indagati in mezza Italia. Lo show garantista di Salvini e Di Maio è cabaret puro ma non è una buona notizia e può portare a un imbarbarimento della giustizia

La tassa a un’aliquota che diventa a tre aliquote. L’obbligo che diventa flessibile. Il giustizialista che si spaccia per garantista. Ok: ma chi vogliono prendere per i fondelli? Se dovessimo individuare l’elemento più spassoso presente nel dna di questo governo, quell’elemento coinciderebbe senza dubbio con la realizzazione progressiva della famosa profezia di Pietro Nenni: “A fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro che ti epura”. I prossimi mesi ci diranno fino a che punto il governo gialloverde contribuirà a far perdere ogni giorno all’Italia un pizzico della sua credibilità. Ma allo stato attuale possiamo dire che esiste già un altro problema legato al tema della credibilità che i campioni del moralismo chiodato difficilmente riusciranno a governare a lungo: la propria fenomenale e inarrestabile moralizzazione. La Lega e il Movimento 5 stelle hanno trovato facilmente un accordo di governo anche grazie alle molte simmetrie presenti nei rispettivi programmi elettorali – odio per l’Europa, scetticismo sui vaccini, approccio xenofobo sull’immigrazione, forte critica sulla legge Fornero, disprezzo per il jobs act – ma su un punto in particolare le linee di Salvini e di Di Maio si sono ritrovate a combaciare in modo perfetto. E quel punto, come sappiamo, riguarda la necessità per i due leader anti casta di essere iscritti, in nome del proprio sentimento sfascista, al partito del giustizialismo. 

   

Un innocente, è noto, è sempre colpevole fino a sentenza definitiva, come ci ha ricordato con un dolce e formidabile lapsus il presidente Giuseppe Conte nel suo primo discorso da capo del governo, e le uniche forme di garantismo che i campioni del giustizialismo possono concedere riguardano gli appartenenti alla propria setta politica. Essere cultori della gogna quando si sta all’opposizione rientra purtroppo nella logica perversa della politica italiana che da anni, e purtroppo prima dell’esplosione di Lega e Movimento 5 stelle, ha scelto di trasformare le inchieste giudiziarie in protesi delle proprie campagne politiche. Quando però si arriva al governo, il meccanismo inevitabilmente cambia e la presenza nel nostro paese del primo esecutivo a trazione giustizialista della storia italiana si sta rivelando uno spettacolo unico di moralizzazione dei moralizzatori. Mettiamo da parte la retorica anti casta. Mettiamo da parte le scorte che i populisti avevano sempre contestato e che oggi si ritrovano a difendere. Mettiamo da parte la lottizzazione che i populisti avevano sempre contestato e che ora applicano in un modo che loro stessi un tempo avrebbero definito spregiudicato. Mettiamo da parte la retorica dell’inciucio, che naturalmente vale solo quando l’inciucio lo fanno gli avversari. Mettiamo da parte i parlamentari grillini e leghisti che già nei primi mesi della legislatura hanno contribuito a far salire del due per cento le voci di spesa dei conti di Montecitorio (personale dipendente più 8,9 milioni, personale in quiescenza più 8,9 milioni, personale non dipendenti più 1 milione). Mettiamo da parte tutto questo e concentriamoci sulla giustizia e sulle inchieste. E il punto in fondo è fin troppo facile: fino a quando il Movimento 5 stelle e la Lega saranno in grado di mettere l’anello al naso ai propri elettori? E con quale simpatica faccia tosta Matteo Salvini e Luigi Di Maio potranno continuare a seguire con distacco quello che sta succedendo nei propri partiti?

  

Vi state chiedendo che cosa sta succedendo nei partiti? Vi bastino due storie. La prima riguarda la Lega, la seconda il Movimento 5 stelle. Sembra uno spettacolo di Beppe Grillo, ma è lo spettacolo del governo italiano.

Primo punto. La Lega di Matteo Salvini, da settimane, deve far fronte a una sentenza della Corte di Cassazione, che a inizio luglio ha accolto un ricorso presentato dalla procura di Genova, che chiedeva di estendere il blocco dei fondi della Lega anche al denaro che la Lega riceverà in futuro. La storia, come ricorderete, arriva da lontano, da quando nel 2017 il tribunale di Genova condannò per truffa ai danni dello Stato Umberto Bossi e Francesco Belsito per aver utilizzato, per fini personali, i rimborsi elettorali ricevuti dalla Lega Nord tra il 2008 e il 2010. Secondo la Cassazione, in virtù di quella sentenza, ogni somma di denaro riferibile alla Lega può essere sequestrata “ovunque venga rinvenuta”. “La fungibilità del denaro e la sua stessa funzione di mezzo di pagamento –  scrivono i giudici – non impongono che il sequestro debba necessariamente colpire le medesime specie monetarie illegalmente percepite”, ma “la somma corrispondente al loro valore nominale, ovunque venga rinvenuta, una volta accertato, come nel caso in esame, il rapporto pertinenziale quale relazione diretta, attuale e strumentale, fra il danaro oggetto del provvedimento di sequestro ed il reato del quale costituisce il profitto illecito”. Problema numero uno: fino a quando un principe del giustizialismo come Matteo Salvini, garantista solo con gli iscritti al suo partito, riuscirà a non farsi travolgere dal mostro giustizialista allevato per anni in Italia insieme agli amici a cinque stelle? Una procura, per quanto lo faccia in modo forse fin troppo severo come ha ricordato su questo giornale Carlo Nordio, chiede al partito guidato dal vicepresidente del Consiglio italiano di restituire allo stato 49 milioni di euro e la risposta del vicepremier non è che la sentenza sia troppo severa ma è che quei soldi non sa dove siano. Una delizia assoluta.

  

Sull’altro fronte, invece, il fronte grillino, lo spettacolo forse è ancora più comico e riguarda un altro tema delicato: l’utilizzo dell’avviso di garanzia come arma di distruzione degli avversari. Un avversario indagato, lo sappiamo, è sempre un avversario condannato fino a prova contraria mentre un grillino indagato, ovviamente, è sempre un grillino innocente fino a prova contraria. Fino a oggi il gioco ha funzionato ma prima o poi, ed è solo questione di tempo, il giocattolo è destinato a esplodere come una bolla di sapone. E per capire la ragione è sufficiente osservare qualche storia a cinque stelle presente in giro per l’Italia. I tre principali sindaci del Movimento 5 stelle sono il sindaco di Torino, Chiara Appendino, il sindaco di Roma, Virginia Raggi, e il sindaco di Livorno, Filippo Nogarin, e in base al codice morale grillino tutti e tre i sindaci meriterebbero di essere presi a calci sulla schiena, e sbattuti fuori dai propri comuni. Appendino è indagata per falso ideologico in atto pubblico, dopo essere stata già accusata di omicidio e disastro colposo. Nogarin è stato accusato di concorso in bancarotta fraudolenta, abuso di ufficio, turbativa d’asta, falso in bilancio e omicidio colposo. Raggi è a processo con l’accusa di falso (e la sua difesa è persino peggio dell’accusa: se è successo qualcosa è successo perché non sapevo niente). Lo stesso vale per altri sindaci del Movimento 5 stelle (sotto indagine sono anche il sindaco di Bagheria e quello di Civitavecchia e ci saremo certamente dimenticati qualcosa).

   

Ma il punto come avrete capito non è fare i giustizialisti con i non garantisti ma è chiedersi fino a quando gli elettori grillini e leghisti continueranno a credere in una delle grandi truffe del populismo: la trasformazione di un avviso di garanzia in un elemento utile a misurare la capacità di una classe politica. Di fronte al cortocircuito grillino e leghista si potrebbe essere ottimisti e pensare che in fondo è un bene se due partiti nati sull’onda di un doppio vaffanculo allo stato di diritto si ritrovano oggi a dover rivedere le proprie posizioni. Eppure il dramma di avere dei moralizzatori moralizzati consapevoli della propria meritata moralizzazione è che la conseguenza di tutto questo non sarà una corsa verso la mediazione e il buon senso ma sarà la rincorsa verso posizioni ancora più estremiste. E se un partito giustizialista non ha più gli strumenti per moralizzare mediaticamente gli avversari per un avviso di garanzia, per provare a comprare sul tema della giustizia il consenso dell’Italia del rancore si ha solo un modo: portare avanti riforme e provvedimenti capaci di inserire il virus del giustizialismo non nella cultura civica di un paese ma in quella delle sue istituzioni. E un governo che, per esempio, piuttosto che combattere la barbarie delle intercettazioni sceglie di assecondare quella barbarie è un governo che forse prima o poi cadrà anche grazie al mostro giustizialista alimentato in prima persona. Ma è un governo che anche su questo punto, tra un ossimoro e un altro e tra una truffa politica e un’altra, è destinato non a migliorare ma ad aggravare i problemi del paese.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.