Luigi Di Maio e Raffaele Marra (foto LaPresse)

Fenomenologia dell'homo novus grillino

Salvatore Merlo

Oltre Lanzalone. Ritratti paralleli di poteri nati da politici in cerca di medietà

Roma. Gente media, con carriere medie, titoli medi, forse persino capacità medie, che tuttavia improvvisamente e per irripetibile coincidenza astrale si trova proiettata in ruoli d’importanza strategica, al centro delle istituzioni, negli snodi più rilevanti e sensibili della macchina amministrativa e di governo. E da lì assume via via un potere sempre maggiore, che s’ingigantisce, talvolta si fa discrezionale, travalica il senso della misura, e cresce con una progressione direttamente proporzionale all’impreparazione e alla debolezza della politica, che non sa, non conosce, non si orienta e in definitiva non è la vera titolare del processo decisionale. Luca Lanzalone, Raffaele Marra, ma anche molti altri, che non hanno avuto guai con la giustizia, eppure corrispondono alle stesse caratteristiche di medietà. Uomini vicini al M5s che si trovano in posizioni istituzionalmente persino più rilevanti dell’ex presidente di Acea, adesso coinvolto nell’inchiesta sullo stadio della Roma, e dell’ex braccio destro di Virginia Raggi in Campidoglio, arrestato e rinviato a giudizio un anno fa. Esiste quasi un identikit, si può quasi disegnare un unico profilo nell’aria per descrivere l’antropologia degli uomini come Lanzalone e Marra, depositari di una tecnica, composta di riti e codici che rimangono una nebbia sinistra, popolata di presenze inafferrabili, per politici fragili, spaesati o furbetti ma comunque sottoposti alla continua tirannia del web di Casaleggio, come appunto Raggi e Luigi Di Maio. 

 

E allora Raffaele Marra, il funzionario comunale, era l’uomo che introduceva i ragazzi di Beppe Grillo ai regolamenti e al funzionamento della macchina amministrativa, così come Luca Lanzalone, l’avvocato, era diventato per loro il termine di riferimento sicuro, la misura della distanza che intercorre tra il politico e la legge, cioè tra il concreto e l’astratto (malgrado nessuno, al Foro di Genova, ricordi di averlo mai visto in un aula di tribunale o al Tar). E come Lanzalone, con il suo studio genovese abbastanza sconosciuto, lui che raccontava di avere sedi e rappresentanze nei due continenti, da Miami a New York, anche Marra nel suo curriculum sterminato e iperbolico – ricorda qualcuno? – faceva di millanteria virtù. Si vantava cioè di aver avuto, da ex ufficiale della Guardia di Finanza, una  croce d’argento  per anzianità di servizio “rilasciata il 7 luglio del 2004”: praticamente un miracolo, perché questa medaglia viene assegnata per legge ai militari soltanto dopo un minimo di sedici anni.

 

E mentre l’uno faceva una sua pieghevole carriera nei corridoi del ministero dell’Ambiente e poi del Campidoglio, tra i gorghi di correnti e sottocorrenti, lobby e fazioni, l’altro invece bazzicava il mondo delle società partecipate genovesi, anche se non da tecnico, ma per frequentazioni politiche socialiste, fino all’incontro fatale con il Movimento cinque stelle, che evidentemente seleziona per occasioni e fortuiti incontri, ovvero realizza la selezione mediante aggiustamenti, palleggiamenti e pasticci. Marra diventa in breve tempo l’uomo macchina e il metronomo nella prima fase del governo grillino di Roma, mentre Lanzalone, che pure non ha nessuna esperienza in materia di diritto amministrativo e urbanistico, finisce incredibilmente a occuparsi della vicenda dello stadio della Roma e in poco più di un anno diventa l’uomo che qualunque imprenditore o potente della città deve incontrare e blandire se vuole un contatto con la giunta degli alieni a cinque stelle. Marra è accusato di avere abusato della sua posizione, e di aver tra le altre cose favorito la promozione del fratello all’interno del Corpo dei vigili urbani. Lanzalone d’essere stato invece corrotto, attraverso finte consulenze, per fare da intermediario tra i costruttori dello stadio della Roma e il Movimento cinque stelle, determinando così la brusca e misteriosa giravolta grillina sullo stadio, prima osteggiato e poi diventato improvvisamente ragione di vanto: “#uno stadio fatto bene”.

 

Marra e Lanzalone, insomma, un paradigma e un’antropologia, una continua coincidenza di rievocazioni e recuperi, similitudini e simmetrie, al di là delle vicende giudiziarie. Un potere parallelo che deriva dall’assenza evanescente del potere politico, dall’elevato grado di faciloneria, insicurezza e debolezza di figure istituzionali, come Raggi ma anche Di Maio, sempre sottoposte a umori e inclinazioni altrui e persino legate alla firma di un contratto siglato con l’azienda-partito di Casaleggio, un accordo legale che agli amministratori grillini (non tutti per fortuna) impone di sottoporre gli “atti di alta amministrazione e le questioni giuridicamente complesse al parere tecnico-legale a cura dello staff” della ditta Casaleggio Associati. “Sono stata tradita una seconda volta”, ha detto Raggi, torcendosi le mani. “Lanzalone? Me l’hanno imposto quelli del nazionale”. E si capisce che in fondo anche lei preferisce spacciarsi per tontolona, circondata dai suoi Marra e Lanzalone, “sconvolta” a sua insaputa, e consegnata così al ruolo d’ignara ma onesta boccalona. E anche questo è un paradigma.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.