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Santoro si candida in Rai e ci parla di Salvini, Di Maio e Renzi

Salvatore Merlo

“Adesso i populisti devono mostrarci come si fa la rivoluzione. Voglio vedere. E l’opposizione deve cambiare tutto”

Roma. Come gli altri duecento aspiranti, anche lui ha presentato il suo curriculum, indubbiamente vasto, e si è candidato al consiglio d’amministrazione della Rai. “Lega e Movimento cinque stelle dicono di essere rivoluzionari? Benissimo. Adesso devono farci vedere come si compie questa rivoluzione. Anche nella televisione di stato. Se vuoi cambiare, non è difficile, basta mettere le persone giuste. E non solo nel cda, dove mi sono candidato io. Ma alla direzione generale, a capo delle reti e dei telegiornali. Sento dire che vogliono dare un programma a Milena Gabanelli, nella striscia serale dopo il Tg1. Questo non ha niente di rivoluzionario. E’ rivoluzionario se la Gabanelli la fai direttore generale, o se le dai la direzione del primo telegiornale. Se il governo del cambiamento significa mettere anche alla guida della Rai uno come Conte, un esecutore, allora che rivoluzione è? E fatela ’sta rivoluzione, dico io. Metteteci Marco Travaglio, al Tg1!”.

 

E a parte tutte le leccate (agli amici) e le manganellate (agli altri) che ci si può immaginare con Travaglio al Tg1, il tono di Michele Santoro è serio. Nella provocazione, per lo meno, che precipita proprio nel giorno in cui il nuovo governo riceve il primo voto di fiducia al Senato. “Assistiamo alla gestazione di una mostruosità”, dice lui. “E’ nato un mostro, che contiene anche elementi interessanti. Per questo dico che bisogna avere curiosità. Il che non vuol dire blandire il mostro, ma aspettarlo sul terreno dei fatti concreti. Nell’opera di governo. Non amo questi proclami tardivi di antifascismo che sento recitare alla sinistra, questi allarmi irridenti in televisione o su Twitter. Capisco che l’opposizione cerchi la sua identità, ma la settimana scorsa sarebbe stato più intelligente mescolarsi alla folla che applaudiva Mattarella, e farlo senza bandiere e senza simboli di partito, anziché mobilitare una manifestazione del Pd nelle stesse ore in cui il presidente della Repubblica stringeva la mano a Luigi Di Maio e a Matteo Salvini augurando loro buon lavoro”.

 

Sembra che all’opposizione per adesso basti la soddisfazione – tutta privata, tutta lirica – di gridare senza posa dai tetti che il mondo non va come dovrebbe andare. “Quando invece andrebbe misurata la debolezza di questa onda che adesso è al governo. Nello scarto tra le aspettative (che hanno suscitato) e la realtà delle cose (che saranno in grado di fare) c’è l’insidia di questa mostruosità al potere. Sono attorcigliati in un tale groviglio di promesse, che alle prime difficoltà non si attarderanno a cercare capri espiatori, ad alzare il tiro. Questo inquieta, ma è una debolezza. Vedi le scompostezze ultime di Salvini. Vuole rassicurare il tumulto da cui proviene, sembra voler dire: ‘Guardate che io la cravatta non me la metto, sono sempre quello che vuole azzannare i clandestini’. Per questo io li sfiderei a venire fuori sull’esercizio reale delle cose: fateci vedere cosa sapete fare. Già hanno rinviato la flat tax, poi toccherà pure all’immigrazione.

 

E allora finirà come la scena del film di Dino Risi, “La marcia su Roma”, quando le camicie nere Gassman e Tognazzi, sempre più disilluse, cancellano anche gli ultimi punti rimasti del programma (ops: contratto) sansepolcrista non realizzato da Mussolini. “Togli di qua, rinvia di là, alla fine resteranno soltanto le cose più ideologiche, quelle che non servono a una beneamata”, dice Santoro.

 

Il taglio dei vitalizi, delle cosiddette pensioni d’oro… “Ma certo. Sembra che l’ordine pubblico sia diventato un’ossessione, però poi non c’è richiesta di mettere le mani dove davvero ci sono i problemi. Vi pare che il comune di Roma sia in prima linea perché alcuni quartieri periferici della città sono territorio degli spacciatori? Non ne parlano nemmeno. E non solo perché in quei quartieri votano i 5 stelle. Ma perché a Roma, come altrove, non hanno un’idea della società. Ecco, io penso che l’opposizione debba muoversi su queste cose. Deve recuperare un contatto con la realtà. E incalzare. Basta fare le pulci al contratto di governo. Basta ironie cretine. Ma ripartire dalla realtà. Anche alla Rai: ‘Cari grillo-leghisti, siete rivoluzionari? Bene. Allora fateci vedere come si compie questa rivoluzione’”.

 

E tutto questo lo deve fare Renzi? “Io a Renzi gli direi: ‘Stai calmo. Salta un giro. Fermati. Mettiti di lato’”.

 

Deve farsi da parte. “Di Maio non ha laurea, non ha una vera esperienza politica, non ha un lavoro… non ha niente. E noi dobbiamo fidarci di lui perché in tivù dimostra una certa arguzia? Ovvio che no. Però bisogna anche dire questo: chi è che ha cominciato con i signor nessuno al governo? Renzi. Solo che Renzi li prendeva ai bordi della casta, e Salvini e Di Maio li pescano tra quelli che vendevano panini allo stadio”.

 

Forse la casta conosce la grammatica, perlomeno. “Sì, ma se ti vuoi contrapporre a questi amministratori del tumulto devi avere una tua ‘idea superiore’. Devi chiamare a raccolta le forze migliori del paese, che ci sono ancora. E che hanno voglia di partecipare. Invece c’è il deserto”.

 

Il deserto dei signor nessuno del Pd. “Roma è un paradigma. Chi si contrappone alla Raggi? Nessuno. Cos’ha prodotto il Pd? Niente”. Persino il referendum sul trasporto pubblico è un’idea dei Radicali, osteggiata da un pezzo del Pd. “Così l’unica figura che spicca è Raggi. Malgrado tutto”.

 

Pare che all’inizio fosse stato teorizzato: lasciamola governare, si distruggerà da sola. “Ed è la dimostrazione del fatto che il modo di ragionare di Renzi, al quale io guardo e ho guardato con simpatia, è di valutare le cose volta per volta. Alla giornata. Invece bisogna cambiare totalmente. La crisi delle élite e delle classi dirigenti è profondissima. Siamo usciti dalla crisi finanziaria con un indebolimento violento del ceto medio, cioè di quelle persone che di solito permettono la crescita civile e sociale di un paese. Ciò che è rimasto del ceto medio viene vissuto come un mondo privilegiato sotto al quale c’è un tumulto. Gente che usa i social pensando di esercitare così un ruolo di cittadinanza attiva, mentre invece sono parte di una mandria che galoppa verso un futuro incerto. Ho apprezzato l’analisi di Walter Veltroni, nei giorni scorsi. Ma la parte ‘degli ultimi e dei poveri’ di cui parla lui non mi convince. Nella rete i poveri non vogliono essere chiamati poveri: l’essere sociale è cambiato. Nel mondo internettiano i rapporti produttivi non contano”.

 

E questo viene interpretato meglio da Salvini e dal M5s. “Che sono dei portavoce, non dei leader. Non hanno visione. Mussolini aveva una visione, brutale. Ma una visione. Sapeva per esempio cos’era l’Africa, come ipotesi di espansione e come occasione. Salvini non lo sa. Non gli importa. E’ solo il portavoce di una piccola patria assediata, dove meno siamo meglio stiamo. E’ il portavoce delle paure che lo legano profondamente a Grillo. Per questo dico che c’è una debolezza strutturale in questa mostruosità che adesso ci governa. Ma se dall’altra parte hai il buonismo retorico…”.

 

Adesso non abbiamo neanche quello. “Non c’è nulla. L’opposizione è perdente nel senso comune della rete, ed è perdente anche sul piano della realtà”.

 

E’ proprio quello che è successo a Roma. Forse c’è da preoccuparsi se la Roma di Virginia Raggi è la metafora d’Italia. “Ma è successo anche in Rai”, dice Santoro. “Ti rendi conto cosa vuol dire aver regalato il know how dell’informazione a La7? Non è un caso che sull’informazione ora non c’è più competizione. Lasciamo perdere il mio caso personale. Ma pensa a Floris. Pensa a Giletti… era troppo populista, troppo urlato? Va bene. Ma queste cose vanno governate. E comunque quale alternativa ha prodotto la Rai alla televisione di Giletti?”.

 

Per questo ti sei candidato al consiglio di amministrazione. “Ho dei progetti per l’anno prossimo, di studio e di lavoro. Potrei esercitare bene il mio ruolo nel cda. Girerei per le diverse sedi Rai in Italia. Vorrei organizzare i produttori indipendenti. Vorrei che in Rai tornassero i documentari. Sono pronto a fare questo lavoro, e senza prestare servizio per una parte politica. La Rai è stata depotenziata. E invece dovrebbe essere un servizio per il paese, dovrebbe aiutare le forze migliori del paese a emergere, a manifestarsi. I capistruttura della Rai un tempo erano dei produttori, non dei modesti funzionari. Voglino tirò fuori Chiambretti e Guzzanti. Il capostruttura Rai era la mente della creazione di un programma. Crescenti, Tantillo, Beghìn… e sto facendo solo pochissimi esempi. Oggi i programmi escono fuori dalle idee degli agenti delle star televisive. Nascono dalle case di produzione private, che sarebbero anche in grado di fare dei bei prodotti perché ne hanno la capacità e le competenze, ma invece adattano i loro show alla mediocrità dei funzionari Rai, gente che non vuole problemi. Una volta c’era ‘Studio uno’. Era il varietà. Ogni anno lo conduceva una star diversa. Non c’era un volto che rimaneva lì per venticinque anni invecchiando assieme al programma. Quella Rai aveva un solo canale, e cambiava star ogni anno. Oggi abbiamo cento canali e sempre le stesse persone che fanno le stesse cose. E’ evidente che c’è una lottizzazione. Che una volta almeno corrispondeva a una visione politica e culturale, mentre adesso è solo potere: il potere degli agenti, il potere delle case di produzione, le censure della politica e la mediocrità generale di persone che hanno paura della loro ombra”.

 

Ma adesso c’è il governo del cambiamento. “Per questo dico: mettete la Gabanelli alla direzione generale. C’è bisogno di gente che perda la faccia, se fa sciocchezze o non corrisponde alle aspettative. Però, come ho già detto, a me questi non sembrano rivoluzionari. Alla fine metteranno un altro Conte. Anche alla Rai. Perché la verità è che la Rai è un cavallo che se si rialza, poi corre e non sai cosa provoca. La politica prova sempre a farlo andare al passo delle sue esigenze. Ci avevano provato a farlo correre. Con Campo Dall’Orto. E avete visto com’è andata a finire. L’hanno disarcionato”.

 

Non ti eleggeranno mai al Cda, lo sai? “E io mi chiamerò fuori dalle produzioni Rai. E una volta libero dirò quello che penso. Dirò quello che ho visto in questi anni, senza problemi. Ma ho tante cose che mi frullano in testa. Quindi non importa molto. Penso solo di avere il dovere civile di reagire alla situazione che si è verificata in Italia”.

 

Ora che comandano in Rai, i 5 stelle secondo te continueranno a dettare le scalette nei talk-show? Rocco Casalino farà invitare gli uomini della maggioranza senza contraddittorio? “Questa cosa può solo peggiorare. Hanno più potere. Ma c’è un’insidia. Nei talk, loro hanno sempre assunto la posizione di oppositori. Se vogliono continuare a usare questi programmi, hanno bisogno di nemici. Renzi non c’è più. Che fanno?”.

 

C’è l’Europa. “Può essere. Ma a un certo punto anche la mandria che corre, davanti al baratro dell’euro, potrebbe fermarsi. Per questo Salvini e Di Maio devono stare attenti a sventolare troppo certe bandiere. Finisce che nel baratro ci cascano soltanto loro due. Lo ripeto: vanno aspettati alla prova dei fatti. E inchiodati lì”.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.