Carlo Cottarelli (foto LaPresse)

La versione di Cottarelli

Luciano Capone

“Non ero nel cassetto del Quirinale come dice Di Maio, ma sul divano di casa a guardare Netflix”. Intervista

Roma. “Dopo quattro giorni di silenzio posso parlare”. Carlo Cottarelli, per poco tempo premier incaricato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel momento più delicato della crisi politico-istituzionale-finanziaria, è in treno di ritorno dal Festival dell’Economia di Trento. “Sono stati giorni molto intensi, ma c’è stata anche molta attesa. Per fare un elenco dei ministri non ci vuole tanto tempo, ma la giornata di giovedì è stata soprattutto d’attesa”. Facciamo un passo indietro, com’è iniziato tutto? “Domenica doveva uscire Conte con la lista dei ministri, ma non si è più formato il governo. Poi è uscito il presidente della Repubblica e ha spiegato cosa era successo. Dopo 45 minuti mi è squillato il telefono”. 

 

“Era il presidente della Repubblica e mi ha chiesto se volevo prendere l’incarico per fare un governo tecnico e neutrale – dice Cottarelli –. Cosa dovevo dire? Ho detto di sì, per forza”.

 

Con quale mandato e a quali condizioni? “Sapevo che il programma sarebbe stato al massimo la legge di Stabilità in caso di fiducia e portare il paese alle elezioni gestendo l’ordinaria amministrazione. L’unica condizione era di non ricandidarsi alle prossime elezioni”. Nessuna garanzia sui voti in Parlamento o sull’appoggio di almeno una forza politica? “No, era tutto al buio”. Non c’era stato un sentore della chiamata, dei contatti in precedenza, la sensazione che la situazione stesse per precipitare? “No, pensavo che il governo fosse ormai fatto, e soprattutto dopo le elezioni non c’è stato nessun contatto di alcun genere. Sui giornali leggevo di un governo Belloni-Rossi...”. Luigi Di Maio ha detto che in realtà il governo Cottarelli era già pronto nel cassetto. “Per quel che ne so io, sono stato chiamato soltanto domenica”. Quindi non era nel cassetto del Quirinale? “Veramente ero sul divano di casa. Avevo appena finito di correggere gli esami dei miei studenti, avevo un po’ di tempo e volevo guardarmi la settima puntata della quarta serie di Breaking bad su Netflix. All’improvviso è arrivata questa chiamata che mi ha sconvolto la vita per quattro giorni”.

 

E’ stato difficile convincere altre persone a mettere la faccia su un governo che nasceva senza speranza? “No, è stato abbastanza facile. Sono arrivato a Roma lunedì, la sera avevo la metà dei ministri e la mattina dopo l’altra metà. C’era solo un buco, che si sarebbe riempito facilmente”.

 

Quando è stato ritrovato l’accordo tra Lega e M5s come l’ha presa? “E’ stata una soluzione positiva, un governo politico è la cosa migliore”. Le tensioni sui mercati che si è respirata in quei giorni e la fiammata dello spread sono superate o il mondo e gli investitori ci guardano ancora con sospetto? “Per il momento è superata, ma i problemi possono arrivare proprio da ciò che questo episodio ha rivelato. Siamo in una posizione fragile e, a causa di un qualunque choc da cose che si fanno, oppure da cose che si dicono, oppure dall’esterno, potremmo precipitare in quella crisi che da anni dico ci potrebbe colpire”. Su di noi incombe sempre il debito pubblico, nel suo libro si chiama “Il macigno”. “Vista questa fragilità, se i tassi d’interesse che sono bassi si alzano allora il peso del debito diventa insostenibile”.

 

Abbiamo scoperto che una crisi politica può diventare una crisi finanziaria? “In passato ho sostenuto che un governo del M5s non avrebbe causato un aumento degli spread. Il problema però è quello che hanno detto dopo, la fuoriuscita di questo ‘Piano B’ per uscire dall’euro, e poi il fatto che Savona a torto o a ragione è visto come una bandiera dell’exit. Per fortuna abbiamo evitato tre mesi di campagna elettorale sull’euro”. Servirebbe ora un “whatever it takes” della politica italiana sull’euro? “C’è stato, ‘faremo di tutto per formare un governo ed evitare le elezioni’. Per adesso basta, a meno che qualcuno non insista a voler parlare di uscita dall’euro”. Il problema però è anche avere un programma compatibile con la permanenza nell’euro. Quello firmato da Lega e M5s lo è? “Realizzare quel programma non sarà possibile, ma se sarà realizzato in parte sarà comunque un problema. Non dobbiamo fare più deficit, ma dobbiamo mettere i conti in sicurezza senza seguire queste fantasie secondo cui per ridurre il rapporto tra debito pubblico e pil bisogna spendere di più”. C’è qualcuno che lo sta facendo in Europa? “Dovrebbe farlo la Germania e non lo fa. Ma in realtà per la Germania si tratterebbe di ridurre il surplus”. E tra i paesi in deficit? “Nessuno. La storia che l’ha fatto il Portogallo è una bufala, una leggenda metropolitana. Il Portogallo sta riducendo il deficit, ha aumentato l’avanzo primario dal 2 al 2,5 per cento, il debito si riduce per la crescita ma il pil non cresce perché si fa più deficit. Non c’è un paese che sta facendo queste cose”.

 

Trovare le risorse per il programma sarà compito del ministro dell’Economia Giovanni Tria. “L’ho conosciuto, è un bravo professore, conosce bene il mondo romano ed è una cosa utile”. Cosa dovrà fare? “Si è espresso sull’aumento dell’Iva per coprire la flat tax, ma la flat tax costa molto di più. Non conosco bene le sue idee sui conti pubblici, ma credo che sia più flessibile di me sul deficit”. Lei cosa avrebbe fatto se l’avessero chiamata al Mef? “Non ci sarei andato, ma perché non sono d’accordo sul programma. Vanno bene alcuni punti come la lotta alla corruzione e alla burocrazia ok, ma sulla parte di finanza pubblica non sono d’accordo”. Perché? “Al di là dei singoli provvedimenti come l’assunzione di poliziotti e carabinieri, che dovremmo diminuire, o l’apertura dei tribunalini che Monti ha fatto bene a chiudere, non sono d’accordo con il quadro macro. E cioè con il fatto che per ridurre il rapporto debito-pil bisogna fare più deficit per aumentare il tasso di crescita. Non funziona”.

  

Il ministro dell’Economia, che dovrà far tornare i conti, non rischia di essere un vaso di coccio tra due vasi d’acciaio come Salvini e Di Maio e con sopra un tappo di piombo come Savona? “Quello è il suo compito, in qualunque governo il ministro dell’Economia deve essere in grado di resistere alle pressioni di spesa”. Si sente di dare un consiglio a Tria? “Beh, se ha accettato quell’incarico vuol dire che condivide quel programma che ha una strategia di aumento del deficit. Quindi c’è poco da consigliare... L’unico consiglio forse – dice sorridendo Cottarelli – è di cambiare idea”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali