Paolo Savona (foto LaPresse)

Savona portiere volante

David Allegranti

Dove sono finiti tutti quelli del complotto tedesco contro l’economista sardo? Così i 5 stelle scelgono la classe dirigente

Roma. “O Savona o morte”, dicevano all’unisono i teorici del governo del cambiamento, lanciando nell’empireo degli statisti il professor Paolo Savona, eroe dei due mondi fino a poche ore fa e adesso reietto, costretto al passo indietro da ministro dell’Economia e ad accontentarsi delle politiche comunitarie. Dal bipolarismo alla sindrome bipolare il passo è breve dalle parti del M5s, come si capisce dall’ultima settimana da Karate Kid della politica italiana: dai l’impeachment, togli l’impeachment, dai Savona, togli Savona.

   

“Savona è la figura in grado di rimettere l’Italia al centro del dibattito in Europa”, diceva Luigi Di Maio il 24 maggio, spiegando perché servisse proprio lui e non un altro alla guida del Mef. “Quello che è accaduto domenica (dopo il no di Mattarella a Savona ministro dell’Economia, ndr) è un fatto grave che ci deve fare riflettere. Il problema non è Paolo Savona, non è il nome di un ministro e non è nemmeno chi ha vinto tra Di Maio e Salvini. Qui il tema è che si è detto no al cambiamento che è stato votato il 4 marzo. Il ministro dell’economia che abbiamo individuato insieme alla Lega è un profilo altissimo, con le competenze adatte per realizzare il cambiamento che i cittadini avevano chiesto”, aggiungeva il Sacro Blog in un post del 29 maggio. “Ci accusano di esserci impuntati su un nome, ma la verità è che ci siamo impuntati sul cambiamento che abbiamo promesso in campagna elettorale. E se dobbiamo andare al governo con un ministro dell'Economia che fa quello che tutti hanno sempre fatto, che blocca i provvedimenti che servono davvero, magari per fare contento qualche burocrate o qualche banca in Europa, allora noi diciamo ‘no, grazie’. Non è quello per cui siamo nati”. E giù moti di piazza, convocazioni di rivolte popolari, la questione che si fa morale e finanche umorale, con Di Maio che grida al complotto internazionale, vuole mettere il presidente della Repubblica sotto accusa e schiera gente che si presenta come inesperta di diritto costituzionale – tipo il professor Ugo Grassi, collega civilista di Giuseppe Conte – eppure già pronta a scrivere l’impeachment contro il capo dello Stato. I no euro imbracciano gli scudi e sono pronti alla guerra civile. Il senatore Gianluigi Paragone stravede per Savona ministro dell’Economia ed è ancora il 29 maggio quando dice che sono i tedeschi a non volere l’anziano professore alla guida del Mef. “Nel passato cambiavano i governi ma la politica rimaneva la stessa, stavolta cambia il governo ma cambia soprattutto la politica. Ecco perché il nome di Savona non è un capriccio ma è il simbolo, l’interprete di questa nuova politica. Se è su di lui che si stanno facendo delle resistenze vuol dire che questo simbolo è carico anche di significato. Lo ha capito il paese, lo stanno capendo anche i tedeschi. Ecco perché gli attacchi che stanno arrivando dalla Germania”. Poi cambia tutto, arriva Carlo Cottarelli come presidente incaricato, Di Maio si rimangia le accuse a Mattarella, Laura Castelli, aspirante ministro delle Infrastrutture, si lancia in una richiesta di passo indietro a Savona, allora interviene persino Di Maio e dice a Savona di farsi da parte.

  

Al che viene da chiedersi dove siano finiti tutti quelli del complotto tedesco contro l’economista sardo. Hanno smesso di twittare, Paragone fischietta guardandosi in giro e Di Maio mette la parola fine, come si apprende da un articolo del Corriere della Sera nella sua versione online: “Ci hanno anche detto ora che è iscritto alla massoneria americana, non ne sapevamo nulla”. Bum!, è l’arma fine di mondo. Nel M5s se vuoi affossare qualcuno basta mascariarlo dicendo che è massone, figurarsi se si tratta di massoneria americana. La diceria, peraltro, girava da settimane e già dal 25 maggio i Cinque stelle facevano pervenire pizzini ai giornalisti nel tentativo di trovare qualcuno che lo scrivesse. La morale è che fino a due giorni fa Savona era lo spauracchio dei poteri forti, ora il M5s usa illazioni per depotenziarlo. Ma se prima era un venerato maestro e poi è stato retrocesso a solito stronzo, c’è qualcosa che non torna. Chissà come la seleziona la sua classe dirigente il M5s, che spaccia per statisti statisti che non lo erano, che dice di avere con sé il meglio della comunicazione, i Rocco Casalino e i Pietro Dettori, che poi sono quelli che anziché prendere Di Maio sotto braccio e spiegargli di lasciar perdere la messa in stato d’accusa a Mattarella, lo incoraggiano e gli fanno pure le foto a Napoli con una pizza davanti e “Oettinger questa se la sogna”, riferendosi a una presunta dichiarazione presunta anti italiana del commissario europeo al bilancio. Per anni ci siamo lamentati del Giglio Magico e di come Matteo Renzi abbia selezionato gli uomini intorno a sé, ma pure la democrazia del clic e dell’uno vale l’altro ha i suoi problemi: si gioca alla tedesca, con Paolo Savona portiere volante.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.