Così è sparita l'ipotesi dell'impeachment a Mattarella

Valerio Valentini

Parla Alberto Lucarelli, il costituzionalista amico di Fico. “Chiamare la piazza ora? Mi fa orrore e spavento”

Roma. Ora che “l’ipotesi non è più sul tavolo”, come dice lo stesso Luigi Di Maio con invidiabile spregio della coerenza, parrebbe quasi inutile starne a parlare. E però per due giorni l’ipotesi dell’impeachment a Sergio Mattarella è stata portata avanti davvero, dal leader del M5s. E allora è giusto interrogarsi, su quella bislacca proposta. Tanto più che ora Di Maio, pur tornando sui suoi passi, dice che se non se ne fa nulla è solo perché Matteo Salvini non è disposto a sostenerla, e non per un sopraggiunto ravvedimento. E se un parere, al riguardo, lo si chiede ad Alberto Lucarelli, questi risponde in modo diretto, con parole inequivocabili: “Non c’è alcun fondamento giuridico”. E certo, si dirà che la Costituzione è variamente interpretabile, e dunque variabile è pure il parere di chi la studia e la insegna. E tuttavia quello di Lucarelli, ordinario di Diritto costituzionale alla Federico II di Napoli, è un giudizio a suo modo più significativo di altri, se è vero che è lui il consigliere, in tema di diritto, di Roberto Fico. “La scelta di Mattarella è discutibile sul piano politico, non c’è dubbio – dice Lucarelli – ma è evidente che nel suo operato non ci sia alcun attentato alla Costituzione, né tanto meno un alto tradimento nei confronti della patria”. Dopodiché, certo, tutto è giudicabile, sul piano “dell’opportunità politica”. E allora ecco che il rifiuto di Mattarella verso la nomina di Paolo Savona a ministro dell’Economia configura “un uso anomalo, se non improprio, dei poteri del capo dello stato”. Una violazione della Carta? “No, direi semmai una forte tensione”, precisa Lucarelli. “Teoricamente il presidente della Repubblica dovrebbe respingere la proposta di un ministro solo in casi particolari: la discrezionalità che la nostra Costituzione riconosce al capo dello stato è assai limitata. E Mattarella la ha ampliata fin quasi al punto di massima tenuta, ma è al contempo stato molto accorto nel motivare, e dunque nel giustificare, il suo decisionismo. Il richiamo fatto alla tutela dei risparmi – riflette Lucarelli – non è una mera formalità: serve a legittimare il suo rifiuto. Di fatto, in quel modo Mattarella ha certificato che il veto su Savona è stato fatto in virtù dell’articolo 47 della Carta”.

 

I precedenti, di certo non mancano. E non sono solo quelli più recenti, ricordati in questi giorni: Oscar Luigi Scalfaro che si oppone a Cesare Previti come guardasigilli, dirottandolo alla Difesa; Carlo Azeglio Ciampi che non accetta Roberto Maroni al Viminale; Giorgio Napolitano che stoppa il magistrato Nicola Gratteri sulla strada che lo avrebbe portato a via Arenula con la benedizione di Matteo Renzi. Ma già Gronchi, già addirittura De Nicola, posero dei veti su alcuni ministri. “E i casi – ricorda Lucarelli – sarebbero ancora più numerosi. Sennonché nella Prima Repubblica questi scontri restavano spesso latenti, mai palesi. Il sistema dei partiti sapeva ammortizzare: fungeva da camera di compensazione permanente, a garanzia della concordia interistituzionale”.

 

Nostalgico, di quei tempi andati, Lucarelli garantisce di non esserlo affatto. Ma riconosce che “oggi, ovviamente, tutto è saltato. E anzi – prosegue – in questa politica leaderistica e personalistica, si finisce con l’esasperare le tensioni proprio per polarizzare lo scontro e specularci a fini elettorali. Non è un caso che siano stati proprio Salvini e Di Maio a conclamare lo scontro, a renderlo esplicito e a porlo in termini ultimativi: ‘O Savona o morte’, hanno ripetuto. Insomma, i leader di Lega e M5s hanno messo Mattarella con le spalle al muro, inducendo il capo dello stato a reagire in maniera altrettanto energica”. E se scomposto è stato il modo di gestire la trattativa col Colle per la formazione del governo, ancor più sbracata si è rivelata la risposta all’opposizione del Quirinale verso Savona. “Gli insulti rivolti al capo dello stato sono stati sguaiati, le parole utilizzate improvvide, l’idea dell’impeachment senza senso”.

 

Se però si chiede a Lucarelli un giudizio sullo strano silenzio di Fico, se insomma non sarebbe stata opportuna, o doverosa, una difesa del presidente della Repubblica da parte della terza carica dello stato, Lucarelli nicchia, dice che “in fondo la polemica politica giustificava le critiche rivolte alle scelte prese da Mattarella”. Ciò su cui transigere non si può, e non si deve, a giudizio del costituzionalista napoletano, è la strategia adottata da Di Maio a partire da lunedì sera, quando il capo politico del M5s è arrivato a invocare la piazza, a mobilitare i militanti grillini per una manifestazione nazionale a Roma, il 2 giugno. “Una chiamata alle armi orribile e pericolosa”, la definisce Lucarelli. Che d’altronde, da ex assessore ai Beni comuni del Comune di Napoli, abbandonata in polemica col sindaco Luigi De Magistris, le degenerazioni del populismo le conosce bene. “Con l’atteggiamento tenuto in questi ultimi giorni, Di Maio dimostra di confondere la democrazia partecipativa col plebiscitarismo di marca latinoamericana. Ma se il modello di questa cosiddetta democrazia diretta diventa il peronismo, allora c’è un problema enorme. Insomma, una cosa è il coinvolgimento del popolo, il contatto diretto con la propria base elettorale, un’altra è il confusionismo sociale. Stiamo correndo – prosegue Lucarelli – un rischio enorme: usare la piazza come arma di ricatto o di pressione nei confronti delle istituzioni ha assai poco a che vedere con la democrazia partecipativa, ma è un atteggiamento proprio di chi cerca una investitura popolare aal di fuori delle normali procedure costituzionali. Ma chi preferisce il modello dell'assemblearismo esasperato, non vuole bene al valore della partecipazione”.

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