Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Giggino reuccio dei due ministeri

Redazione

Come non trasformare il ministero dello Sviluppo nel regno del Sottosviluppo

Al nuovo governo l’Istat fa trovare due dati: la conferma di un pil in crescita dello 0,3 per cento nel primo trimestre 2018, e un numero di occupati ad aprile di 23,2 milioni, in aumento annuo di 251 mila, un record da quando, il 1977, esiste la serie storica. Il picco precedente, 23,177 milioni, risale al 2008, con l’Europa non ancora contagiata dalla crisi. Certo, la disoccupazione resta all’11,2 per cento e quella giovanile sale al 33,1. La solita divergenza dipende come sempre dal divario tra un nord-est tedesco e un meridione greco. E come sempre si discute di contratti precari e fissi; magari dimenticando che nonostante il Jobs Act resta più facile licenziare all’estero che in Italia. Ciò che conta è un numero: rispetto al 2013 il paese ha recuperato un milione e 80 mila posti di lavoro, risultato non banale e certo non scontato. Neppure la crescita del pil, quindicesima consecutiva, era scontata: supera le prime stime della Banca d’Italia e nei raffronti europei sullo stesso periodo è pari a quella della Germania, superiore a quella della Francia (0,2), e ancora più del Regno Unito (0,1). Ovviamente l’Italia deve fare di più. La stima annua parla di 1,4 per cento, lievemente meno del 2017; ma la flessione riguarda l’intera Europa.

 

Su questi dati dovranno riflettere i ministri grillino-leghisti: non solo la campagna elettorale è finita da un pezzo, ma è ormai superata anche la propaganda degli ultimi tre mesi. Il “governo del cambiamento” ha certo il diritto politico alla discontinuità: non però di disfare ciò che di positivo eredita dagli esecutivi precedenti, in particolare di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, e un cenno in Parlamento a questo lascito sarebbe segno non solo di fair play ma di maturità da parte del debuttante Giuseppe Conte. In tema di lavoro è ovviamente Luigi Di Maio atteso alla prova del fare, anziché del disfare. Avendo voluto accorpare due incarichi, da ministro del Welfare vorrà mantenere la promessa acchiappavoti del reddito di cittadinanza, insostenibile per le casse pubbliche e senza senso per il sud che di tutto ha bisogno tranne che di super-assistenzialismo. Come responsabile dello Sviluppo economico deve invece confrontarsi con le imprese che hanno sfidato la crisi, con la concorrenza che ancora latita, con la strategia energetica, con gli investitori stranieri che non vogliono ricette da Terzo mondo.

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