Una marcia nel deserto con poche riserve d'acqua
E' nato el gobierno de la revuelta. La base elettorale e sociale della controrivoluzione ancora non si vede, e il neoliberalismo è andato in minoranza. Ma anche il mondo ha un suo bel tasso di surrealtà
Gliene diremo tante, ma prenderemo un sacco di botte. Il popolo italiano si è ribellato, come dice il caro professor Savona, ed è nato el gobierno de la revuelta. L’Unione europea ricomincia a ballare, e date le sue condizioni di stasi politica non sarà una danza disciplinata né un minuetto, semmai una sarabanda di quelle delle origini, come i gabbiani che attaccano disordinati e chiassosi un picco nel mare, e quel picco siamo noi. Trump ha detto che la lettera di Kim recatagli dal suo capo-spia, di Kim, è molto bella e interessante; due minuti dopo, a domanda ha risposto: “Non l’ho letta”. Così va il mondo, con un notevole tasso di surrealtà. E dopo Singapore, gli sarà comminato il Nobel della pace, sempre che nuovi palpeggiamenti non lo cancellino. Salvini e Di Maio avranno l’Oscar dell’efficacia? Può darsi. Come impresari, oggi, non hanno rivali. E il pubblico, come nel Prologo del Faust, come negli anni Venti italiani, desidera emozioni sempre più forti, e affolla il botteghino. Non c’è stato bisogno di una Grande Guerra, di un embrione di guerra civile, la minaccia del paese dei Soviet. Sono bastati una ripresina insufficiente e un referendum malamente perduto. Allacciare le cinture serve a niente. Promettere scazzottate serve a niente. E’ il momento degli incassatori. Dirla tutta, fare quel che si deve, ma prepararsi a prenderle.
Non dico che debbano disfarsi da soli, un aiutino bisogna pur darlo, fa parte dei doveri repubblicani e democratico-liberali, si chiama opposizione. Al momento la base elettorale e sociale della controrivoluzione non si vede. La rinascita della sinistra del conflitto a favore dei diseredati mi pare grigia, più Bersani che Victor Hugo. Questi sono interclassisti, come si diceva una volta, e l’Italia è spaccata nelle aspettative ma riunificata da un potere parvenu nelle promesse su tasse, negher, quattrini oziosi. Il neoliberalismo, cioè l’idea che le cose si aggiustano per tutti e per ciascuno con il lavorio o addirittura il lavoro dell’individuo, liberato e protetto al tempo stesso da competenze amministrative e mercati, è andata decisamente in minoranza. Non solo da noi. Gira un’arietta antitedesca che ha qualcosa di mefitico. Abbiamo votato puzzone, ma è la democrazia bellezza, e per di più con un ministero che la vuole democrazia diretta. D’altra parte è già qui, la cosa, con l’amerikano che elogia lettere non lette. E sbattersi nei marciapiedi per correggere l’italiano dei nuovi arrivati non è un programma di successo.
Relativizzare è l’unica. Se saranno autoritari e arroganti, in mancanza di costituzionalisti, bisognerà fare la loro parte, ma piano con l’antifascismo e con i metodi dell’antiberlusconismo, quando ci prende la foga bisogna “desistere, desistere, desistere!”. Il Fronte o la Concentrazione repubblicana vanno più che bene, ma con giudizio e oculatezza nella scelta del vocabolario, dei mezzi, degli obiettivi. E senza fretta. Se saranno pasticcioni e spreconi e nemici del risparmio e degli investimenti, di economisti per segnalarlo, e spero di sindacalisti, bisognerà fare una scorta. Abbiamo a Napoli un sindaco ex magistrato d’assalto, uno da cacarsi sotto, come dice lui, che si è fatto la fama di buon amministratore, non so se mi spiego. La marcia nel deserto non sarà corta né lunga, sarà caldissima, secca e con poche riserve d’acqua.
Equilibri istituzionali