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“Il voto è meglio di un patto con Di Maio”. Parla Maroni

Salvatore Merlo

Il bivio di Salvini, il ritorno del Cav. e la Terza Repubblica. "Il M5s ha più di un leader ed è poco affidabile. I parlamentari della Lega invece rispondono a Salvini"

Roma. “Se Salvini vuole essere il capo del centrodestra, allora deve governare con il centrodestra”, dice con un tono benevolo, “da fratello maggiore” che offre consigli non richiesti al più giovane segretario della Lega. Per questo “bisognerebbe lasciar perdere i Cinque stelle e Luigi Di Maio”, aggiunge. “Salvini dovrebbe tornare a votare, e tessere la trama di un nuovo centrodestra a trazione leghista”. Con Silvio Berlusconi? “Con Berlusconi. Che è tornato eleggibile. E che senza dubbio adesso farà opposizione. Altro che ‘astensione benevola’, com’è stato detto. Questo evidentemente è un bel problema”. E allora Roberto Maroni osserva l’attorcigliarsi della crisi parlamentare con un misto di distanza, curiosità, e partecipazione emotiva. “Salvini è il figlio legittimo della Lega di Bossi e di Maroni”, dice in un soffio. “Poi ovviamente, però, come sempre succede, i figli scelgono la loro strada in autonomia… Anche contro la volontà dei padri. E’ la natura”.

  

Ci sarà mai un leghista a Palazzo Chigi? “Così, con Di Maio, non mi pare possibile. Con il centrodestra invece diventerebbe l’unica opzione sul tappeto. E un leghista a capo del governo, per me che il partito l’ho visto nascere, sarebbe il compimento di un percorso iniziato trent’anni fa. E per la Lega di governo sarebbe un traguardo da incorniciare”.

  

Se c’è una Lega di governo, allora c’è anche una Lega di lotta. “La Lega è sempre stata contemporaneamente di lotta e di governo”, risponde Maroni. “E le due anime hanno convissuto. Io sono stato il governo, mentre Bossi era la lotta. Lui era la strategia, e io la tattica. Oggi invece lo schema è cambiato. Si apre una pagina nuova, che può definitivamente trasformare la Lega nel partito che governa il centrodestra e dunque il paese”.

  

Purché Salvini non sbagli le mosse seguendo Di Maio, sembra di capire. “Sì. Ma bisogna segnalare due novità fondamentali che rendono possibile questa ipotesi. La prima novità è il ricambio generazionale che io ho favorito nel partito dimettendomi e facendo spazio a Salvini. La seconda è che ormai la Lega è la forza di riferimento del centrodestra. E questo sta profondamente modificando il Dna del partito. Con Berlusconi al massimo del suo splendore, la Lega era più di lotta che di governo. Adesso può essere il contrario. Nel 1994 Bossi andava al governo alleandosi con Berlusconi, ma un minuto dopo aveva cominciato a chiamarlo ‘Berluskaz’, per far capire che non c’era contaminazione, che si restava rivoluzionari. Adesso è cambiato tutto. E’ il contrario. La Lega primo partito significa stare al governo della coalizione e potenzialmente del paese. Oggi la Lega è soltanto quella di governo. E la sintesi di tutto questo è Matteo Salvini”. Purché non getti via tutto, per un’avventura con Di Maio. 

  

Quando gli si dice che Salvini e Di Maio sembrano essersi incartati, Maroni sospira. “Tutte le questioni di cui stanno discutendo adesso sono ancora i preliminari dell’accordo”, dice. “E tutto avviene in una situazione, per la Lega, nuova e complessa”, aggiunge. “Salvini deve gestire la rottura di fatto dell’alleanza di centrodestra. E con la riabilitazione di Berlusconi che precipita improvvisamente, dopo la rottura dell’alleanza ma prima che il governo con i Cinque stelle si sia formato. La difficoltà è rilevante. Berlusconi può davvero fare l’opposizione. E gli verrebbe facile. Anche per questo dico che Salvini deve riprendere a tessere la trama del centrodestra 4.0. Deve tornare sui propri passi, evitare l’accordo con il Movimento cinque stelle e riprendere a lavorare sul campo politico di cui lui è il capo. Cosa c’entriamo noi con i Cinque stelle? Sembra una riedizione del compromesso storico, un compromesso tra nemici per la pelle. Con la Terza Repubblica che inizia con una procedura che richiama la Prima. Non mi convince”.

 

Ma Salvini e Di Maio s’intendono perfettamente. Almeno così sembra. “Questo non lo so. Però so che il M5s è poco affidabile. E’ evidente. Mettiamola così: i parlamentari della Lega rispondono a Salvini. Quelli del M5s invece a chi rispondono? A Di Maio? A Casaleggio? A Grillo? Alla rete? Imbarcarsi in un governo che potrebbe non durare cinque anni è rischioso. Mentre l’alternativa, cioè le elezioni e la leadership nel centrodestra, è un’ipotesi molto ragionevole”.

 

Dunque Di Maio non è il vero leader del M5s? “Di Maio è uno dei leader. La Lega invece è un partito leninista. Posso essere in disaccordo con il capo, cerco di convincerlo, ma se non ci riesco mi adeguo. Mi pare che invece nei Cinque stelle sia diverso. Quando Di Maio scriveva il contratto di governo con Salvini, contemporaneamente Casaleggio lanciava una consultazione su internet per valutare la bontà di quel contratto. Chi comanda lì? Boh”.

  

Forse adesso anche Salvini comincia ad avere dei dubbi. Al Quirinale, lunedì, nelle sue dichiarazioni, era tutt’altro che trionfalistico. “Mi ha colpito molto quando ha detto: ‘Se dovessi guardare alla convenienza mia e a quella della Lega oggi non sarei qua’. E’ proprio vero. E’ proprio così”.

 

Dopo aver pronunciato queste parole, Salvini ha pure annunciato un referendum tra i cittadini sul contratto di governo. E’ un passo indietro? “Non dico che serva a prendere tempo, ma la consultazione tra i cittadini potrebbe anche riaprire la partita. Se il referendum boccia il contratto, a quel punto o lo si riscrive oppure significa che i cittadini rifiutano il governo. Vedremo”.

 

Ma non è un errore tattico? Se i cittadini bocciano il contratto di governo non bocciano di conseguenza anche Salvini? Non sta forse un po’ pasticciando, la Lega? “Quello che mi è sembrato davvero pasticciato è il modo in cui è stato tirato in mezzo il professor Giulio Sapelli. Mi è dispiaciuto, perché stimo molto Sapelli. E averlo gettato in questo modo sulla griglia non è stato né un bello spettacolo né una buona mossa”.

 

E insomma Maroni suggerisce a Salvini di tornare da Berlusconi. Ma il Cavaliere, pur avendo ottantuno anni, è un signore molto ingombrante che non è abituato a essere il comprimario di nessuno. “Berlusconi è immortale”, sorride Maroni. “E una volta tanto la magistratura gli ha fatto un favore, rendendolo di nuovo candidabile. Tuttavia il Cavaliere ha interesse a sostenere Salvini perché anche lui, come Salvini, ha interesse a vincere. Quindi tra i due non c’è rivalità. Ma una coincidenza d’interessi. E d’altra parte ormai il centrodestra è a trazione leghista. Questo è un fatto consolidato dalle percentuali elettorali. Berlusconi c’è. E’ importante. Ma il leader è Salvini”.

  

E se Di Maio accettasse di cedere Palazzo Chigi alla Lega, magari a Luca Zaia? “Zaia fa il presidente del Veneto. E lo fa molto bene”. E Maroni presidente del Consiglio? “Io sono fuori. Seguo la politica, mi piace, ma non la faccio in prima persona. Ho fatto la mia scelta, che sintetizzo così: #vitanuova”.

 

Va bene. E com’è questa #vitanuova? “Interessante. Mi sento più libero e più leggero. Sto anche facendo tante cose”. Per esempio? “Sto portando avanti un’iniziativa sui millennial. Il ‘Millennials Ambassadors Forum’. Una specie di Forum Ambrosetti, rivolto però ai ragazzi. Ho coinvolto esponenti del mondo dell’impresa, dell’economia e delle istituzioni. Vogliamo fare ogni anno un report sulla condizione dei giovani in Italia, trovare soluzioni per trattenere i millennial nel nostro paese”. Capito. Ma il suo ritiro così repentino, per tanti, anche nella Lega, è un mistero. Lo sa? “Macché mistero. Uno adesso non si può più rompere le balle? E’ la cosa più normale del mondo”.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.