Il M5s continua a bruciare nomi
Il no del “ministro” Tridico diventa un guaio e per Di Maio è sempre più difficile trovare qualcuno con un minimo di reputazione disposto ad accettare le sue offerte
Roma. Anche Pasquale Tridico è uscito dal gruppo. L’economista dell’università Roma Tre, indicato prima delle elezioni da Luigi Di Maio come ministro del Lavoro del suo fantagoverno, ha comunicato ai vertici del Movimento 5 stelle la decisione di ritirarsi. Tridico, che ha una storia e una formazione da keynesiano di sinistra, non è più disponibile a far parte di un governo con la Lega di Matteo Salvini. Per mesi è stato uno dei fantaministri del M5s più attivi, pur senza aver avuto né una candidatura all’uninominale né tantomeno un posto sicuro al proporzionale. Per mesi da “ministro del Lavoro in pectore del M5S”, così si faceva definire, ha difeso pubblicamente sui giornali e nei convegni le proposte di welfare del movimento, anche quelle che non erano sue, proponendo soluzioni contabili creative per coprire il finanziamento del “reddito di cittadinanza”. Adesso fa un passo indietro. Troppe differenze, inconciliabili, con il programma della Lega su questioni fondamentali come il fisco, l’Europa, il Mezzogiorno, gli investimenti, i migranti e i diritti civili.
Stessa situazione per Andrea Roventini, professore al Sant’Anna di Pisa, anche lui con radici profonde a sinistra (anche se a Keynes aggiunge Schumpeter), indicato da Di Maio come ministro dell’Economia ed elogiato perché “ha l’età di Macron ma già scrive con un premio Nobel che è Stiglitz”. Roventini, dopo qualche intervento iniziale, è sparito dai radar e anche adesso preferisce non rilasciare alcuna dichiarazione. E’ come se fosse in letargo. Ma sicuramente si può intuire il suo stato d’animo, non dissimile da quello di Tridico, rispetto alla stesura del programma giallo-verde. Anche perché nel suo discorso di investitura su due pilastri come Europa e fisco prese posizioni in netta contrapposizione con quelle della Lega. “L’uscita dall’euro non è in discussione” disse, prima passare a criticare duramente la tassa piatta leghista: “La flat tax è una ‘fake tax’, una proposta bizzarra che non ha mai funzionato, produrrà un deficit pubblico crescente e porterà benefici all’1 per cento della popolazione”. Il problema è che alle trattative sul “contratto alla tedesca” la Lega ha mandato i suoi esperti Claudio Borghi, capofila dei no-euro, e Armando Siri, ideatore della flat tax salviniana, mentre il M5s no. Seduti al tavolo del Pirellone non c’erano i “supercompetenti” Tridico e Roventini, ma i fedelissimi Vincenzo Spadafora e Rocco Casalino. Non il coautore del Nobel Stiglitz, ma il concorrente del Grande Fratello.
Se il Roventini è in ghiacciaia, c’è un altro nome che in queste ore viene rosolato per ben. E’ quello di Giuseppe Conte, professore all’Università di Firenze, avvocato del prestigioso studio di Guido Alpa, eletto dal M5s nel Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, indicato come ministro della Pubblica amministrazione del fantagoverno Di Maio e ora promosso a “possibile premier”, e cioè dato in pasto per qualche giorno alla stampa come è stato fatto con Giulio Sapelli.
Una sorte analoga è toccata a un altro stimato giurista amministrativo, Giacinto della Cananea, incaricato da Luigi Di Maio in persona di presiedere una “commissione scientifica” per predisporre un “pre-contratto” da sottoporre a Lega e Pd e indicare un metodo da seguire per trovare un accordo sul “modello tedesco”. Inutile dire che il lavoro di Della Cananea non è servito a nulla e il suo metodo che prevedeva “dieci gruppi di lavoro” per “approfondire e precisare gli obiettivi” è stato cestinato il giorno seguente. Il ruolo svolto da queste personalità è quello cinicamente descritto dal neosenatore Gianluigi Paragone pochi giorni fa a Piazzapulita: “La campagna elettorale si fa anche con grandi colpi di teatro – ha detto a proposito dei fantaministri nominati da Di Maio – e quello è stato un grandissimo colpo di teatro che ha premiato il M5s”.
Ma a furia di immolare personalità sull’altare della premiership di Di Maio, per il M5s sarà sempre più difficile trovare qualcuno con un minimo di reputazione disposto a offrirsi per il ruolo di vittima sacrificale.
L'editoriale del direttore