Il premier Matteo renzi (foto LaPresse)

La politica del beduino

Redazione
L’istinto suicida di chi si getta coi 5 stelle per fare male a Renzi

La politica del beduino rischia di travolgere l’ultimo lacerto di sensatezza rimasto sul proscenio dei partiti impegnati in vista dei ballottaggi per le comunali, e nell’attesa del referendum-ordalia di ottobre sulle riforme costituzionali del governo Renzi. Il centrodestra diviso e acefalo – con un Cav. gagliardo e fatalista, il cuore offeso, stanco e acquartierato come a esprimere uno sdegno di fine secolo – mostra di giorno in giorno d’aver introiettato la logica nichilista del deserto: il nemico del mio nemico è mio amico. Ed ecco allora i forzisti della prima e dell’ultima ora che si mettono a trafficare nell’ombra con i Cinque stelle, da Roma a Torino, illusi di dover seguire il teppista Matteo Salvini anche in quest’ultima sciagurata adesione cieca al grillismo anti renziano. Ma per arrivare dove? E in cambio di cosa? Non si sa. Si comprende solo che alcuni berlusconiani subordinano (eufemismo) la loro proposta politica e il proprio cartiglio sistemico alla velleità d’ingrossare le file di un maelstrom nel quale precipitare il nemico Renzi. Risultato: Virginia Raggi, che già di suo è fortissima a Roma, e Chiara Appendino a Torino ottengono un’ulteriore delega in bianco per cercare di asfaltare (non è un eufemismo) non soltanto i democratici Giachetti e Fassino ma anche le casematte residue berlusconiane. Un capolavoro d’insipienza, la rinuncia preventiva a indicare limiti e confini oltre i quali il ceto politico smette di esistere, se non come bersaglio esangue dell’antipolitica di governo (sempre se i grillini ce la facciano, e non è ancora detto).

 

Dall’altra parte della carovana, ma sempre in quota beduini, ci sono figure come l’ex sindaco di Roma, Ignazio Marino, tesserati del Pd che si gettano in pasto al grillismo per rancori personali, vendette private, riscosse immaginarie. Insieme con loro, sul dossier referendario, s’indovina già rotondamente la trahison della minoranza post bersaniana. In questo caso, con Renzi che minaccia l’uso del lanciafiamme e preconizza sanguinarie rese dei conti fratricide, a dileguare nella caligine nera è l’ultima delle ragioni esibite dai minoritari per escludere la secessione dal Nazareno: right or wrong it’s my party. Non è più così. Altri, da Civati a Fassina, si sono già allontanati alla spicciolata mostrando almeno una quota credibile di coerenza. Sarebbe onesto seguirli per tempo, invece di fare il tifo per il nemico del nemico interno.