Federico Pizzarotti, sindaco pentastellato di Parma (foto LaPresse)

L'arte di ammanettarsi da soli, malattia autoimmune a 5 stelle

Alessandro Giuli
Perché i grillini hanno già sacrificato, dal buon Pizzarotti in giù, un’intera prima fila della loro classe dirigente, in una schizofrenia cronicizzante, sospesa a metà tra il Codice Davigo (semplificando: i politici sono tutti colpevoli in attesa di essere scoperti) e una generica adesione al principio della presunzione di colpevolezza (copyright Cerasa).

Se n’è accorto perfino Marco Travaglio, che non è esattamente un nemico delle procure: “I 5 stelle sbagliano”. Il direttore del Fatto quotidiano, ieri, si riferiva “all’inchiesta della procura di Livorno per concorso in bancarotta fraudolenta che, tra 17 indagati, coinvolge anche il sindaco Filippo Nogarin e l’assessore al Bilancio” (grillini entrambi). Per ovvie ragioni temporali, l’articolo di Travaglio non tiene conto dell’avviso di garanzia (abuso d’ufficio) recapitato intanto a Federico Pizzarotti, sindaco pentastellato di Parma già in odore di deviazionismo rispetto all’impostazione massimalista di Beppe Grillo e del clan Casaleggio. La tesi di Travaglio sarebbe anche sensata: “Quindi perché sbaglia il M5s a Livorno? Non perché non fa dimettere Nogarin, ma perché non chiarisce una volta per tutte il proprio Codice etico. E così appare doppiopesista – indulgente coi suoi e giustizialista con gli altri – anche quando non lo è”.

 


Il sindaco di Livrono Filippo Nogarin (foto LaPresse)


 

Il suggerimento travagliesco è di stabilire una serie di non-reati eticamente rilevanti esemplificabili sul modello Berlusconi-Olgettine o sui casi del sindaco ex M5s di Quarto (mancata denuncia di un ricatto) e del pd siciliano Crisafulli (foto inopportune con un boss); quanto ai reati veri e propri – premesso che “se un pubblico ufficiale è indagato per reati gravissimi, tipo mafia od omicidio, è meglio che se ne vada” – nel Codice Travaglio si concede che “se invece il fatto non è infamante e il reato è controverso, meglio aspettare almeno la fine delle indagini”. Almeno, dice Travaglio, bordeggiando pericolosamente (per lui) i lidi del codice penale (innocenza fino al terzo grado di giudizio ecc.) se non direttamente del buon senso.

 

Fossi in lui non mi farei troppe illusioni. Ma non sarei più tranquillo nei panni del Direttorio pentastellato. E non perché le ombre dell’illegalità proiettate sul mondo grillino rischiano di depotenziare la corsa di Virginia Raggi verso il Campidoglio, precipitando nell’indistinto la credibilità morale di un Movimento che sembra condannato in partenza a un epilogo à la Robespierre (zac!); ma perché la cittadina-sindaca Raggi, vigente l’attuale canone grillino, così perverso e confuso in materia di legalità, potrebbe andare incontro allo stesso destino apparecchiato dalla sorte beffarda agli altri principali amministratori locali del Movimento. Come a Parma e a Livorno, così a Pomezia (nepotismo e appalti chiacchierati per i rifiuti) e a Gela (il sindaco Domenico Messinese è stato espulso con l’accusa, fra l’altro, d’intesa con gli alfaniani per un incarico legale da 11.500 euro), e poi a Bagheria (assunzioni familistiche nella cooperativa che gestisce l’asilo nido comunale. Fonte: livesicilia.it) e via così. Tanto che perfino l’ex pm Antonio Ingroia, militante togato e chiodato, intramato come pochi nella cultura della pulizia etica, s’è duvuto arrendere al dubbio. Ed eravamo solo all’inizio dell’anno: “Qualcosa, però, si deve essere evidentemente perso nel tempo, almeno rispetto allo spirito originario con cui è nato il Movimento. Con il consenso e con le conseguenti prime esperienze di governo sono infatti arrivate anche le prime sorprese negative… Per amministrare e cambiare davvero le cose occorrono competenza e storie personali inattaccabili. Del resto l’etica dipende sempre dalle persone, non è patrimonio di questo o di quel partito” (dal sito antimafiaduemila.com).

 

Ecco allora che, dietro le quinte del “doppiopesismo” indicato da Travaglio, si fa largo il sintomo di una schizofrenia cronicizzante, sospesa a metà tra il Codice Davigo (semplificando: i politici sono tutti colpevoli in attesa di essere scoperti) e una generica adesione al principio della presunzione di colpevolezza (copyright Cerasa). Risultato: su queste basi, si scopre che l’unico partito italiano costretto dai 5 stelle a non governare mai sono proprio i 5 stelle, vittime di questa malattia autoimmune prodotta dall’incapacità costitutiva d’incastonare una quota minima di garantismo nella più ampia cornice dell’articolo 54 della Costituzione. E senza contare che, alla prova dei fatti, dal buon Pizzarotti in giù i 5 stelle hanno già sacrificato un’intera prima fila della loro classe dirigente, o presunta tale. Dirigenza acerba, diranno loro. Direzione autolesionistica, dicono appunto i fatti.