Il presidente del Consiglio Matteo Renzi (foto LaPresse)

Elogio del Renzi fustigatore unico del partito della fazione

Claudio Cerasa
Non solo anti giustizialismo, com'è riuscito il presidente del Consiglio in due anni o poco più a fare una cosa che nessuno aveva fatto prima: cominciare a spezzare le catene della sinistra.

Lo ha fatto in maniera pasticciata, certo, a volte confusa, ovvio, spesso disordinata, chiaro, ma comunque l’ha fatto, lo sta facendo, e a volerli mettere uno accanto all’altro, i tabù cestinati, viene naturale dire, a prescindere dalla propria fede politica, bravo, finalmente, ci voleva, e che goduria.

 

Non si sa se l’economia ripartirà e come ripartirà e non si sa se tutto questo avrà un effetto immediato sulla crescita e il benessere del paese ma intanto, nel giro di due anni, è successo quello che, appena tre anni fa, nessuno si aspettava che potesse accadere: un segretario trentenne, ora quarantenne, ora presidente del Consiglio, capo della sinistra italiana, ha detto che l’articolo 18 è una boiata pazzesca, e lo ha tolto; ha detto che c’era una classe politica che ha fatto il suo tempo, e l’ha cambiata; ha detto che le tasse non sono bellissime, e ha cominciato a tagliarle; ha detto che il bicameralismo perfetto è una schifezza, e lo ha superato; ha detto che la Costituzione italiana non è la più bella del mondo, e l’ha cambiata; ha detto che le logiche del proporzionale sono orrende, e ha approvato una legge elettorale a vocazione maggioritaria; ha detto che il federalismo ha distrutto le regioni, e lo ha sostanzialmente eliminato; ha detto che il posto fisso è un’utopia, e dopo anni e anni ha introdotto il contratto a tutele crescenti; ha detto che la concertazione era uno dei mali del paese, e l’ha fatta fuori; ha detto che gli ambientalisti all’amatriciana sono complici dell’arretramento dell’Italia, e li ha sfidati; ha detto che la questione morale non poteva più essere la stella polare della sinistra, e l’ha messa da parte; ha detto che un partito moderno, di sinistra, ha bisogno, per vincere, di conquistare anche gli avversari, altrimenti continuerà a perdere pur di non perdere la propria identità, e lo ha fatto; ha detto che quando un magistrato sbaglia deve pagare, come tutti, e ha introdotto una legge sulla responsabilità civile; ha detto che le banche popolari non funzionavano più e le ha riformate; ha detto che un indagato non è un condannato ma è una persona in attesa di giudizio e ha sfidato la Repubblica delle manette, complice dell’Italia delle barbarie giustizialiste, annunciando una prossima riforma delle intercettazioni.

 

Certo. Lo sappiamo che sull’economia ancora non ci siamo, che la Pubblica amministrazione è stata riformata un po’ così, che le liberalizzazioni sono state programmate un po’ così, che sul piano europeo la voce italiana si sente un po’ così, che la spending review funziona un po’ così, che la scuola è stata cambiata un po’ così, e che molto si potrebbe dire sulla squadra di governo e sulla rottamazione che fa fatica a diventare costruzione e sull’impossibilità di governare avendo tutti contro, sul rischio di trasformare ogni partita in un referendum su se stessi (le trivelle, Milano, la Costituzione). Ma intanto quello che vi abbiamo descritto è successo, sta succedendo, è una vera mutazione genetica della sinistra, del Pd, ed è un tratto del renzismo che spesso sfugge alla routine del notismo politico ma che c’è, esiste, e costituisce oggi il vero punto di forza del progetto renziano, la sua vera e reale connessione sentimentale con un pezzo di paese che sfugge ai sondaggi e alla militanza dei partiti ma che è lì, si vede e conta e continua ad avere fiducia, nonostante tutto, in una nuova sinistra. Una sinistra che oggi è in campo, certo, che deve dimostrare di saperlo tenere bene il campo, ovvio, ma che in due anni o poco più, tra un ciaone e un altro più o meno gradevole, ha fatto una cosa che nessuno aveva fatto prima: ha cominciato a spezzare le catene della sinistra. Non è una condizione sufficiente per cambiare il paese, chiaro, ma era una condizione necessaria. E se la scelta, come è oggi, continua a essere tra il partito anti tabù della nazione e il partito giustizialista della fazione, non c’è gara, e la connessione sentimentale tra Renzi e il paese potrà allentarsi ma non si spezzerà.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.