Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

Il nemico interno di Renzi

Redazione
Nei prossimi mesi, il partito del Tutto Tranne Renzi (TTR) avrà due occasioni importanti per provare a indebolire, forse in maniera definitiva, il presidente del Consiglio e segretario del Pd.

Nei prossimi mesi, il partito del Tutto Tranne Renzi (TTR) avrà due occasioni importanti per provare a indebolire, forse in maniera definitiva, il presidente del Consiglio e segretario del Pd. La prima occasione, più immediata, è quella legata alle elezioni di Milano, e non è un mistero che la sfida tra Beppe Sala (Pd) e Stefano Parisi (centrodestra) si stia trasformando, giorno dopo giorno, in un referendum sul renzismo: se vince Sala, amen, bene per Renzi; ma se vince Parisi, beh, il percorso del premier, oggettivamente, rischierebbe rapidamente di finire su di un piano inclinato. Il secondo passaggio cruciale, meno immediato ma persino più importante, è quello legato ovviamente al referendum costituzionale di ottobre. Renzi ha detto più volte che un “no” alla riforma Costituzionale coinciderebbe con un “no” al governo Renzi e ha scelto, forse con un po’ di imprudenza, di legare il suo destino al voto di ottobre. Il fronte del TTR tradizionale, Lega, Grillo, Sinistra italiana e compagnia Podemos no trivellante (un pezzo di Forza Italia compresa) si mobiliterà con forza per portare al referendum di ottobre un numero di elettori quantomeno non inferiore (13 milioni, è dura) a quello che ha votato due settimane fa contro le trivelle, e il grande tema delle prossime settimane è se il fronte del TTR verrà presidiato anche dalla minoranza del Pd. La versione ufficiale della minoranza dem, molto originale, è che il “sì” al referendum sulla riforma costituzionale (riforma già votata dalla minoranza dem in Parlamento) è legato alla modifica della legge elettorale: se Renzi deciderà di riaprire il capitolo Italicum inserendo il premio alla coalizione invece che il premio alla lista, nessun problema; se non lo farà, invece, i problemi ci saranno.

 

Il presidente del Consiglio, al momento, ha detto di non avere alcuna intenzione di cambiare la legge elettorale e, se i giochi dovessero rimanere questi, la minoranza del Pd potrebbe cogliere l’occasione del referendum costituzionale per segnare una discontinuità, a questo punto definitiva, con il partito della Nazione renziana, trasformando così il voto popolare sul ddl Boschi-Renzi in un voto popolare contro il progetto renziano. La presenza della minoranza del Pd all’interno dei comitati del no al referendum Boschi-Renzi equivarrebbe a un voto di sfiducia allo stesso presidente del Consiglio. Fino a qualche tempo fa sarebbe stato impensabile immaginare uno scenario di questo tipo. Eppure, lo scenario impensabile, oggi è diventato pensabile ed è stato messo a tema, clamorosamente, dallo storico portavoce di Pier Luigi Bersani, Stefano Di Traglia, che ha scritto nero su bianco, in un post sull’Huffington, che “sono molti gli elettori e i militanti del Partito democratico che voteranno No al referendum… Penso che nei prossimi mesi, quella per il No al referendum costituzionale, sia una battaglia che valga la pena combattere e il Pd può e deve dare spazio al suo interno anche ai comitati per il no”. Trattasi di posizione personale. Ma una posizione che interpreta bene una volontà precisa – la scissione del Pd – che Renzi dovrà mettere nel conto dopo aver trasformato il referendum sulla costituzione in un referendum sul governo. Occhio.