Figuriamoci se non lo capiamo, Silvio Berlusconi, quando sfoglia i suoi sondaggi e decide di corteggiare Matteo Salvini (foto LaPresse)

Le nozze forzaleghiste e il rischio di un Berlusconi ancillare

Alessandro Giuli
Quando non hai più il sole in tasca, devi andare a cercartelo altrove, sperando di non girovagare lontano da casa. Figuriamoci se non lo capiamo, Silvio Berlusconi, quando sfoglia i suoi sondaggi e decide di corteggiare Matteo Salvini, fresco commensale di un simposio ricostituente.

Quando non hai più il sole in tasca, devi andare a cercartelo altrove, sperando di non girovagare lontano da casa. Figuriamoci se non lo capiamo, Silvio Berlusconi, quando sfoglia i suoi sondaggi e decide di corteggiare Matteo Salvini, fresco commensale di un simposio ricostituente (negli auspici dell’ospite) durante il quale si è fantasticato di elezioni a venire e contenitori immaginari per un centrodestra che torni vincente. Il Cav. all’ingrosso la pensa così: il fascioleghista Salvini attrae consensi, sa comunicare con efficacia, è il volto barbuto (poco berlusconiano perciò) di uno scontento diffuso e crescente in materia di sicurezza, immigrazione, euroinfelicità varie; sicché, front runner o no, tanto vale farne il combustibile principale d’un patto federativo tra Forza Italia e Lega delle destre, germoglio acerbo di un “contenitore” che verrà, se verrà, nel quale sommare ruggiti estremi e sussurri moderati, moschetti padani e libretti patinati sulla grande storia berlusconiana da offrire come legato ideale di un irripetibile sogno liberalizzatore, anti comunista e defiscalizzante. Pastiche de roi, si direbbe, ma con qualche possibilità d’essere ingollato dalla maggioranza della minoranza votante in Italia. Chissà.

 

Come Berlusconi, pure noi sappiamo che la politica è l’arte del possibile più l’elettrificazione mediatica costruita intorno a un prodotto griffato (ieri il kit azzurro con le mentine, oggi la felpa salviniana in franchising) da smerciare sul mercato dei voti. Ma c’è un ma: posto che Salvini accetti il gioco, la combinazione legaforzista rischia di replicare in tono minore l’esperimento pidiellino, e con Forza Italia nel ruolo ancillare che fu della finiana An, un partito bollito e diluito per decreto nel contenitore più grande, pur di mascherare vuoti d’idee e carenza di seguaci. Non si rivelò una tragedia, perché le elezioni del 2008 furono vinte in scioltezza (ma l’avversario del momento, il pur decorosissimo Pd veltroniano, arrivò alla linea di partenza zoppo e ammanettato a Di Pietro), eppure alla lunga il progetto abortì. La destra si dimostrò malmostosa e impaziente di detronizzare il monarca di Arcore, e il sovrano non seppe gestire da par suo i troppi fronti aperti dentro e fuori le mura domestiche.

 

[**Video_box_2**]Oggi avrebbe senso allestire nel sottoscala padano, e non più nella sala del trono berlusconiano,un listone onnicomprensivo senza aver prima offerto al proprio popolo dormiente (indotto alla letargia, invero) un programma credibile e una classe dirigente realmente rinnovata? Temo di no. Sopra tutto se non si voglia sottostare all’insieme dei caveat leghisti, spesso più immaginifici che realistici, finendo per diventare truppe di rincalzo per una battaglia effimera. Non stiamo chiedendo a Berlusconi non essere Berlusconi, e cioè l’imprenditore che bada al sodo e non al modo, gli consigliamo tuttavia di rimpannucciare a dovere idee e linguaggi, se un domani non vuole essere costretto a dire signorsì o che-fai-mi-cacci?