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Caro Papa Francesco, non c'è da meravigliarsi se leggere Dostoevskij a Zaporizhia fa un effetto diverso

Adriano Sofri

Tornando sulla spinosa questione della Grande Russia, il Pontefice ha fatto il nome del grande scrittore che “oggi ci parla di umanesimo maturo”. Ma le parole fanno una gran fatica a significare la stessa cosa in luoghi diversi e in giorni e notti diverse

Caro Papa Francesco, oggi scorrevo le notizie ferroviarie dall’estremo oriente e mi è venuto un pensiero grossolanamente maligno – dettato dal Maligno, preferirei dire, per lavarmene le mani. Che qualcuno, di quelli saggi, le suggerisse che dopotutto la Nato abbaiava alla porta della Corea del nord. Vorrei scriverle anch’io sulla spinosa questione della Grande Russia e del suo retaggio. Ho letto la sua risposta al corrispondente dell’Ansa che le chiedeva di chiarire. Lei ha chiarito di aver ribadito la necessità essenziale che i giovani si facciano carico dell’eredità, e che l’eredità russa è “molto buona, molto bella”. E ha fatto un nome per tutti, ancora una volta, quello di Dostoevskij, che “oggi ci parla di umanesimo maturo”. Poi ha preso le distanze da ogni imperialismo, e dalle deviazioni della cultura nell’ideologia, dalle quali la chiesa stessa non è immune. Quanto a Pietro il Grande e a Caterina II, si è scusato di averne citati i nomi in un ricordo di manuali scolastici, e ha lasciato la parola agli storici.

Anch’io amo molto Dostoevskij, anche dopo aver conosciuto meglio certe sue convinzioni ideologiche, seminate qua e là nei romanzi, e fortemente presenti negli scritti privati e pubblici, come il “Diario di uno scrittore”: specialmente i suoi giudizi e i suoi pregiudizi sugli ebrei, sui polacchi, e sul cattolicesimo e la chiesa cattolica e Roma, e la loro quintessenza, i gesuiti. Su lei, per così dire – benché fossimo nel 1867. Vorrei ricordarle qualche passo tratto non dai quaderni, ma da un romanzo che certo le è caro, l’“Idiota”, ed esattamente dal discorso più rivelatore fatto dal principe Myshkin al cospetto della buona società radunata per valutarne l’accettazione: circostanza nella quale il principe è travolto dall’emozione, urta e manda in frantumi il prezioso vaso cinese, e finisce con un attacco del suo male, ma, sia pure con uno sconveniente eccesso di eloquenza, esprime quello che conta di più. E, come lei ricorderà, l’“Idiota” è colui cui ripetutamente nei taccuini preparatori Dostoevskij accosta senz’altro il nome di Cristo. Dunque: il principe proclama che il cattolicesimo non è cristiano. E che il cattolicesimo di Roma è peggiore dell’ateismo stesso, perché predica un Cristo contraffatto e calunniato: l’Anticristo, “lo giuro!”. Dice che il Papa si è impadronito della terra, ha impugnato la spada, e ci ha aggiunto la menzogna, l’intrigo, l’inganno, il fanatismo, la superstizione, il crimine… e tutto ha barattato per denaro. “Bisogna che il nostro Cristo risplenda in piena luce quale bastione contro l’occidente, quel Cristo che noi abbiamo saputo conservare e che loro non hanno mai conosciuto! Noi dobbiamo adesso fronteggiarli, non lasciandoci prendere servilmente al laccio dai gesuiti, bensì portando loro la nostra civiltà russa…”. “E’ la nostra passionalità russa che stupisce non soltanto noi stessi, ma tutta l’Europa; se uno di noi abbraccia il cattolicesimo, diventerà subito un gesuita, e anche uno dei più oscurantisti…”. “Svelate al russo il Mondo russo, concedetegli di trovare quest’oro, questo tesoro che la terra gli nasconde! Mostrategli la visione avvenire di un’umanità rinnovata e risorta, forse grazie soltanto all’idea russa, al Dio e al Cristo russo, e vedrete quale gigante giusto e possente, mite e saggio, si leverà in piedi davanti al mondo sbalordito! Sì, sbalordito e spaventato, giacché essi da noi si aspettano soltanto la spada, la spada e la violenza, e giudicando in base a se stessi, essi ci possono immaginare soltanto come dei barbari…”.

Come vogliamo bene al principe Lev Nikolaevich Myshkin. E come amiamo Nastas’ja Filippovna. Ma non possiamo meravigliarci che leggere Dostoevskij a Zaporizhia faccia un effetto diverso. Le parole fanno una gran fatica a significare la stessa cosa in luoghi diversi e in giorni e notti diverse. E se si è uomo o donna, o. Citate, ammirate, tradite, usurpate che siano. Passate dall’“Idiota” a un agente del Kgb diventato ora patriarca della vera fede. Riascoltate il nome del Mondo russo, il Russkij Mir, pronunciato da un agente del Kgb diventato ora zar, più o meno. Perfino le parole, così proverbiali, così ribadite e rivendicate, sulla “martoriata Ucraina”, possono suonare come un modo per non nominare l’Ucraina combattente. (In una lettera agli ucraini, quasi un anno fa ormai, lei papa aveva infatti incluso la frase: “Penso poi a voi, giovani, che per difendere coraggiosamente la patria avete dovuto mettere mano alle armi anziché ai sogni che avevate coltivato per il futuro”).

Anche chi si trinceri solidamente dietro le parole, allontanando senza riserve da sé le armi – le pietre – può ritrovarsi da una parte della guerra. E chiarire, precisare, rettificare… Perdonare, essere perdonato, non esserlo. Confidare in Giovanni XXIV. Molti auguri affettuosi.

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