L'incontro in Vaticano

I vescovi ucraini avvertono il Papa: “Attento a non fare il gioco di Mosca”

Due ore di riunione, Francesco chiarisce: “Dubitare con chi stia è un dolore particolare per il popolo ucraino. Desidero assicurarvi la mia solidarietà"

Matteo Matzuzzi

Più articolato il discorso del cardinale Pietro Parolin, segretario di stato: "Nel contesto della tragica guerra scatenata cinque mesi prima con l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia non vi siete limitati a considerazioni teologiche teoriche". Ma è "ingiusto dubitare del Papa"

Questa mattina, per quasi due ore, il Papa ha incontrato i vescovi del Sinodo della Chiesa greco-catolica ucraina. Francesco ha aperto la riunione con un’ora di anticipo “al fine di avere la possibilità di una conversazione più prolungata”. In effetti di temi da discutere ce n’erano parecchi, soprattutto dopo l’incidente causato dalle parole a braccio del Papa rivolte a fine agosto ai giovani cattolici russi, esortati a farsi custodi della grande eredità russa che si è manifestata anche attraverso Pietro e Caterina II, non proprio fini cultori dell’identità ucraina. Non è un caso dunque che al termine dell’udienza, l’arcivescovo maggiore di Kyiv, Sviatoslav Shevchuk, abbia detto che “questo incontro è stato un momento di ascolto reciproco nonché un’opportunità di dialogo diretto e sincero”. I vescovi del Sinodo hanno spiegato a Francesco che “alcune dichiarazioni e gesti della Santa Sede e in particolare di Sua Santità risultano dolorosi e difficili da comprendere per il popolo ucraino, che in questi istanti sta lottando e sanguina per preservare la propria dignità e indipendenza”. Tra l’altro, hanno sottolineato i presuli ucraini, “le incomprensioni sorte tra l’Ucraina e il Vaticano vengono sfruttate dalla propaganda russa per giustificare, promuovere e sostenere l’ideologia omicida del mondo russo”.

 

Il Papa ha risposto, tornando sulle sue parole circa l’eredità russa: “Tornando dalla Mongolia, ho affermato che il vero dolore si manifesta quando il patrimonio culturale di un popolo subisce una ‘distillazione’ ed è sottoposto a delle manipolazioni di un certo potere dello stato, a seguito del quale si trasforma in un’ideologia che distrugge e uccide. E’ una grande tragedia quando una simile ideologia irrompe nella Chiesa e sostituisce il Vangelo di Cristo”. Ha poi riconosciuto che “il fatto di dubitare con chi stia il Papa è un dolore particolare per il popolo ucraino. Desidero assicurarvi la mia solidarietà e una costante vicinanza in preghiera. Sono vicino a voi e a tutto il popolo ucraino”. E’ qui che Francesco ha mostrato un’icona della Madre di Dio che “mi è stata donata da Sua Beatitudine Sviatoslav quando era un giovane vescovo in Argentina. Davanti a questa icona, prego ogni giorno per l’Ucraina”. Shevchuk ha contraccambiato con alcuni oggetti appartenenti ai due sacerdoti redentoristi da mesi prigionieri in Donbas: “Santità, questi oggetti testimoniano la sofferenza della nostra Chiesa e del suo popolo in mezzo agli orrori della guerra causata dall’aggressione russa. Li affidiamo nelle sue mani come un tesoro inestimabile, con la speranza che presto possa giungere in Ucraina una pace giusta”. Il Papa, ha reso noto più tardi la Sala stampa vaticana, ha manifestato “i suoi sentimenti di vicinanza e partecipazione alla tragedia che vivono gli ucraini, con una dimensione di martirialità di cui non si parla abbastanza, sottoposti a crudeltà e criminalità”. Non solo: il Pontefice “ha espresso il suo dolore per il senso di impotenza che si sperimenta davanti alla guerra, una cosa del diavolo, che vuole distruggere”. 

 

Più articolato era stato, il giorno precedente, il discorso tenuto dal segretario di stato, il cardinale Pietro Parolin, che si è soffermato sulla “minaccia contro l’esistenza stessa del popolo ucraino”: “Nel contesto della tragica guerra scatenata cinque mesi prima con l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia – ha detto ai vescovi – non vi siete limitati a considerazioni teologiche teoriche, ma siete scesi nel concreto, mettendovi alla ricerca di nuovi modi di vicinanza e di accompagnamento pastorale dei fedeli e dell’intera popolazione ucraina, a prescindere dalla sua professione religiosa, per curarne le ferite”. Il segretario di stato ha però voluto sottolineare la vicinanza della Santa Sede e del Papa, aspetto che da tempo è assai contestato in Ucraina, e non solo dalle gerarchie: parlando proprio della vicinanza del Pontefice, Parolin ha detto che “sarebbe ingiusto dubitare del suo affetto per il popolo ucraino e del suo sforzo, non sempre compreso e apprezzato, di contribuire a porre fine alla tragedia in atto e ad assicurare una pace giusta e stabile attraverso il negoziato”.  Prossimamente, ha aggiunto, “accogliendo la proposta da tempo avanzata da Vostra Beatitudine e nel contesto della Commissione interdicasteriale permanente per la Chiesa in Europa orientale, ci troveremo con i rappresentanti di questa Chiesa sui iuris e di quella latina, nonché di alcuni esperti, per approfondire le tematiche legate alla guerra e alla sua origine, tenendo conto che la guerra è sempre un male e, anche quando essa risponde al diritto alla legittima difesa, è nostro dovere di cristiani e di pastori di limitarne il più possibile gli effetti, con le parole e con le azioni”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.