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Anche la storia della sconfitta del nazismo è oggetto di contesa fra Mosca e Kyiv

Adriano Sofri

Le due opposte celebrazioni di ieri: in Russia, si è rivendicata “l’operazione speciale”, Zelensky invece ha presentato una legge che fa dell’8 maggio il “Giorno della Memoria e della Vittoria sul nazismo”, e decretato che il 9 sia “la Giornata dell’Europa in Ucraina”

Al volto militare sempre più enorme e accanito della guerra d’Ucraina, si accompagna come un’ombra lo scontro di culture, lingua, lessico, memoria, sentimenti. Ieri, introducendo sul Corriere un ottimo articolo sul ruolo simbolico della battaglia di Bakhmut, Paolo Mieli ha menzionato la “tradizionale manifestazione del 9 maggio, celebrativa della vittoria russa sulle armate hitleriane”. L’espressione era senza dubbio priva di qualunque intenzione peculiare, ma era destinata altrettanto certamente a suscitare una ribellione nell’eventuale lettrice o lettore ucraino, per quell’aggettivo, la vittoria “russa”.

La capitolazione della Germania nazista ebbe dall’inizio una sorte disparata e, come ora si dice, divisiva. Fu firmata la sera dell’8 maggio 1945, quando per la differenza di fuso orario nell’Urss era già il 9 maggio. A occidente, la celebrazione sarebbe avvenuta l’8, a oriente della cortina di ferro il 9. E solo nel 1965 il 9 maggio fu dichiarato nell’Urss festa nazionale. Nel 2015 l’Ucraina del dopo Maidan aveva proclamato l’8 maggio “Giornata della Vittoria ucraina contro il nazismo”, intitolando il giorno successivo alla “Memoria”. (Successe, nello stesso 2015, anche in Polonia, dove l’8 maggio divenne “giornata nazionale della Vittoria”). Ieri due opposte argomentazioni e celebrazioni si sono svolte a Mosca e a Kyiv. Nella prima, si è rivendicata ancora “l’operazione speciale”, l’aggressione all’Ucraina, come una prosecuzione della “Grande Guerra Patriottica” contro il nazismo. Nella seconda, Zelensky ha presentato al parlamento una legge che fa dell’8 maggio il “Giorno della Memoria e della Vittoria sul nazismo nella Seconda guerra mondiale”, e decretato che il 9 maggio, fin da oggi, sia “la Giornata dell’Europa in Ucraina”. “Non permetteremo a nessuno – ha detto Zelensky – di appropriarsi della vittoria comune delle nazioni della coalizione contro Hitler”, e ha ricordato gli 8 milioni di ucraini morti nella Seconda guerra mondiale. In questa guerra di memorie, la portavoce di Lavrov, Zakharova, ha insultato Zelensky come “peggiore di un nemico: un traditore. Un Giuda del XXI secolo… Cancellando il Giorno della vittoria il 9 maggio, ha tradito una volta per tutte i suoi antenati: quelli che hanno combattuto nell’Armata Rossa, e quelli che sono stati torturati e seviziati nei campi di concentramento, e quelli che hanno lavorato per la vittoria nelle retrovie: un complice dei nazisti 80 anni dopo”. Il richiamo agli antenati era obbligato: un nonno di Zelensky e i suoi fratelli, ebrei, combatterono nell’Armata Rossa nella Seconda guerra, lui sopravvisse, i fratelli morirono. I bisnonni di Zelensky erano morti nel rogo dei nazisti al loro villaggio. L’anno scorso il presidente ucraino aveva replicato a chi gli chiedeva della “denazificazione” proclamata da Putin: “Quando i russi parlano dei neonazisti e si indirizzano a me, rispondo soltanto che ho perso tutta la mia famiglia nella guerra, sono stati tutti sterminati durante la Seconda guerra mondiale”.

Era diventata troppo facilmente un’abitudine chiamare “russa” la vittoria: la parte per il tutto, finché la parte non ha voluto ingoiare di nuovo il tutto. Russkij Mir, il “mondo russo”. La reazione lascia molte vittime sul campo. Venerdì un reportage del Guardian raccontava la sorte delle statue di Pushkin in Ucraina. Trenta già demolite dal 24 febbraio dell’anno scorso, le altre in bilico. Se sono così numerose le demolizioni attuate o minacciate, è anche perché sono tanto numerose le statue. O le strade: 594 intitolate al poeta in un censimento di cinque anni fa (due nella sola Kharkiv). Il terzo per numero dopo il poeta nazionale ucraino, Taras Schevchenko, e l’astronauta Jurij Gagarin. E’ come, protestano i patrioti ucraini, un voler marcare il territorio. A chiamare Pushkin “un vero imperialista” è anche uno storico ucraino prestigioso come Serhiy Plokhin, professore a Harvard. Plokhin, citando il poeta ucraino Serhiy Zhadan, ha detto: “Non vedo alcuna ragione per cui dobbiamo avere più monumenti a Pushkin che a Lord Byron”. Questione spinosa, ma non è bene tenersi alla larga dalle questioni spinose. Si può, si potrà forse, discutere della poesia e della letteratura di Lord Byron e di quella di Pushkin, e del loro rispettivo posto nel mondo.