Il centro commerciale di Kremenchuk dopo l'attacco russo (LaPresse)

Piccola posta

L'imprenditore ucraino Igor Khyzhnyak ci racconta l'attacco russo al centro commerciale di Kremenchuk

Adriano Sofri

E' l’amministratore delegato della catena Comfy che controlla il supermercato colpito da Mosca e ha una storia esemplare. I nomi dei morti, la riunione con Zelensky prima dell’invasione della Russia e i quarantenni che difendono l’Ucraina

Dnipro, dal nostro inviato. Non c’è uno fra i miei interlocutori che non dichiari la sua ammirazione e il suo rimpianto per Oleksiy Opanasovych Vadaturskyi, il magnate del grano e della logistica appropriata al suo smercio, assassinato con sua moglie, Raisa Mykhailivna, a Mykolaïv, nella loro casa, nel loro letto. La notte del 31 luglio. I piloti russi hanno puntato su di loro due missili, il secondo è servito ad aggiustare il tiro. C’è un altro modo di pensare ai due tiri. Il primo, quello da aggiustare, è caduto nelle vicinanze, il suo fragore li avrà svegliati, si saranno guardati, poi si saranno detti, come al solito: be’, rimettiamoci a dormire. Forse si sono scambiati un bacio di buonanotte, può succedere anche ai vecchi sposi in un frangente come quello. 

Vadaturskyi, 74 anni, era, dicono, fra i rarissimi della sua generazione che si sono fatti venendo dalla gavetta, senza passare dalla politica d’interesse. Lui e Raisa avevano deciso di rimanere, e proprio in una città come Mykolaïv, la più martoriata dopo quelle del Donbas. Non è facile capire se l’accanimento brutale che i russi mettono a bombardare Mykolaïv sia un segno certo del proposito di liquidare l’ultimo ostacolo sulla via di Odessa, o se sia una vendetta rabbiosa contro la città nella quale erano riusciti a entrare per esserne ricacciati a furor di combattenti e di popolo. Vadaturskyi era figlio di contadini di una fattoria collettiva, aveva imparato a fare il pane e venderlo, al minuto e all’ingrosso, e nel 1991, con l’indipendenza, aveva fondato la sua impresa, Nibulon, cresciuta fino a essere fra le maggiori del paese e le più avanzate. Se i russi – il se è di maniera – hanno deciso di eliminarlo, hanno scelto il giorno in cui la prima nave di cereali salpava da Odessa. L’artiglieria russa non fa prigionieri, e se li fa trova il modo di sbarazzarsene. 

Ascoltavo con curiosità il rimpianto unanime dei miei ospiti, imprenditori di successo della generazione dei quarantenni, affiatati più dall’amicizia che dall’interesse, e da un ripudio della collusione fra clientele politiche e cordate economiche. Fanno cose diverse. Dmytro, il più dinamico, è noto soprattutto per il ristorante più attraente di Dnipro, “Gianni vino”, parla italiano, coltiva creativi progetti urbani che la guerra vuole sabotare. Ha un figlio al fronte, una figlia con lui, due più piccoli in Italia. Sergej si occupa di agricoltura, parte della sua produzione è riuscita a imbarcarla sulla prima nave in partenza. Artur, il più insostituibile, anche il più appassionato alle cose civili, è il dentista. E Igor è l’amministratore della maggior catena di distribuzione di elettrodomestici, Comfy. E’ un uomo molto grande, come qui succede spesso, e al momento di una foto cerca di farsi più piccolo, per gentilezza.

Siccome vengo da giorni di Zaporizhia e sono ancora pieno di storie di leggendari cosacchi e di anarchici contadini, lo trovo vivacemente partecipe. E’ di Zaporizhia, infatti. Si chiama Igor Khyzhnyak, ed è coetaneo del presidente Zelensky, 1978, 44 anni. Ho l’impressione – le mie sono solo impressioni, infatti – che l’Ucraina di oggi passi pienamente nelle mani e nelle teste dei trenta-quarantenni, nella politica, nell’economia, nei media. Non so se anche nelle Forze armate, dove forse i più giovani e i più maturi e rodati hanno un peso relativo maggiore. Così forse il rimpianto di Vadaturskyi, l’onore reso alla sua tenacia e lungimiranza di uomo self-made e insieme il riconoscimento della rarità di figure come lui, suonano un po’ come il commiato da una generazione superata, che la guerra sta mettendo comunque da parte. 

La storia di Igor Khyzhnyak è esemplare. Nato a Zaporizhia, ci è rimasto fino ai 24 anni. Aveva 13 anni quando l’Ucraina diventò uno stato indipendente. Ne aveva 36 quando fece la sua “rivoluzione della dignità” – quella che altri chiamano colpo di stato…  In tempo. E’ figlio di un marittimo e una commessa di negozio. Si è laureato in Economia aziendale ed è rimasto due anni in università a specializzarsi in Management. Poi si è trasferito a Dnipro in un importante gruppo. La sua carriera si è svolta all’interno, con gli inesorabili contrasti sui metodi di governo e i loro compromessi, finché il proprietario ha scelto di trasferirsi all’estero, “in Europa”, a occuparsi della sua famiglia. Oggi Khyzhnyak è l’amministratore delegato di Comfy, la più importante compagnia di vendita e di distribuzione di elettrodomestici del paese. Ha circa 3 mila dipendenti, oltre 200 dei quali sono oggi al fronte. 

Di Comfy avete sentito parlare, perché era suo il centro commerciale colpito dai missili antinave: i supermercati somigliano a grossi bastimenti, perfino a 400 km dal mare più vicino. Successe infatti nel centro di Kremenchuk, in mezzo all’Ucraina: una città industriale di più di 200 mila abitanti, prima della guerra, sul Dnieper, nell’oblast di Poltava. I morti furono almeno 22 e i feriti 59. Ci fu un rogo colossale, incenerì 10 mila metri quadrati e durò molte ore, nonostante il numero di vigili del fuoco e volontari impegnati a spegnerlo. Khyzhnyak lesse la notizia sul telefono, dopo due ore e mezza di auto era lì. Mi mostra i video, impressionanti. “Abbiamo perduto 12 persone nostre. Tre donne. Una ispettrice bancaria, Olena Poljakova, che aveva l’ufficio nel nostro locale. E una signora delle pulizie, Larysa Kokhanivska, 51 anni: a lungo non si trovò, e non c’era un telefono a squillare. Oksana Dmytrenko, 29 anni, era cassiera, e una fervida volontaria. Gli altri erano uomini, giovani i più – è un lavoro anche pesante. Ruslan Mykolenko aveva 26 anni, assunto da due settimane. Viacheslav Demydov ne aveva appena 23. Kostiantyn Voznyi, 35 anni, due figli. Per alcuni c’è stato bisogno dell’esame del Dna. Quando vedi la tua gente, i tuoi ragazzi, e ti senti dire che non è vero, che sono stati i militari ucraini…”. Qui il grande Khyzhnyak ha gli occhi umidi. “Bisognava muoversi in un calore infernale, il metallo era fuso”. Uno, Mykola Izmaylov, fu tirato fuori da due compagni che a loro volta erano usciti a sbucare dai detriti. I superstiti dissero che le sirene erano suonate almeno dieci minuti prima dell’arrivo dei missili – e se si ascoltassero le sirene, “non si vivrebbe più”. I russi, come con Vadaturskyi, hanno un gusto peculiare per le coincidenze: era il giorno del G7 in Germania. Ebbe un argomento in più.

Zelensky denunciò l’attacco a un luogo per eccellenza affollato di civili. Si parlò dapprima di mille presenti, che era però la capienza del locale, poi fu accertato che c’erano state duecento persone. I russi, i loro portavoce, fecero come al solito. Prima negarono, erano stati gli ucraini a bombardarsi. Poi ammisero, ma sostennero di aver colpito un deposito di armi, e che da lì le scintille si erano propagate al centro commerciale. Quello che indicavano come un’armeria era un magazzino di macchinari da terra in cui “8 (otto) anni prima erano stati riparati tre veicoli militari per il trasporto di personale”! Infine, sostennero che il supermarket era chiuso e non c’erano lavoratori né clienti. Video e testimonianze ridicolizzarono tutte le sgangherate versioni. Due settimane dopo, ripeterono l’impresa a Vinnytsia, anche qui lontanissimo dal mare e a 900 km dai fronti, anche qui su edifici civili, compreso un centro medico, magazzini, abitazioni: 80 feriti, 23 morti, e fra loro tre bambini. Una era la piccola Liza che ha più commosso il mondo capace di commuoversi. Sparano sui supermercati dai bombardieri strategici Tu-22M3, verrebbe voglia di ridere. “E’ chiaro che colpiscono dove mirano. A volte nel mucchio, per terrorizzare le persone comuni. A volte per eliminare le persone speciali. Vadaturskyi era una persona speciale, non era un oligarca, e questo nome deve scomparire dal nostro vocabolario: aveva costruito l’economia del paese. Il mondo cambia, ma un po’ alla volta: a seguire il suo esempio, ci sarebbero voluti vent’anni… E al momento decisivo si era comportato come un uomo libero. I russi non hanno saputo sopportarlo”.

Kremenchuk era già stata bombardata all’inizio di aprile, il bersaglio era la raffineria, che è a più di 10 km dal centro commerciale, ed è da allora fuori uso.
La moglie di Khyzhnyak lavora nella stessa compagnia, hanno una bambina. Il 21 febbraio il consiglio fece una riunione impegnativa: “Che il Donbas fosse sull’orlo dell’invasione era evidente, nessuno pensava all’invasione dell’intero paese. Eravamo a questo tavolo, ci dicemmo che nessuno avrebbe lasciato il suo posto, che eravamo responsabili per i nostri 3 mila collaboratori. La stessa cosa dovettero dirsi al tavolo del consiglio della Nibulon, la compagnia di Vadaturskyi, e loro di collaboratori diretti ne hanno 10 mila. Intanto avevo fissato una vacanza di famiglia e la riunione del consiglio di amministrazione a Cipro, e partimmo. Eravamo appena arrivati quando mi avvertirono che le cose precipitavano. Le mie care restarono, io ripresi il primo volo. Sulla strada fra l’aeroporto e Dnipro ricevetti l’invito a partecipare a una riunione a Kyiv con Volodymyr Zelensky. La mattina del 23 febbraio arrivai a Kyiv, la sera ci fu l’incontro con Zelensky, non numeroso, i responsabili delle imprese maggiori. Il giorno dopo ero in albergo, apro la finestra, e sento la pioggia di bombe. A quell’incontro ho ripensato: è possibile che Zelensky avesse delle informazioni: se così fosse, non ce lo disse. Si accontentò di convocarci e riunirci. Forse voleva sincerarsi che ci fossimo tutti, e che tutti ci saremmo stati anche dopo”. Non è successo, dico: alza le spalle. Peggio per loro. 

Khyzhnyak, come tanti uomini ucraini, non vede la sua bambina e sua moglie da più di cinque mesi, loro vivono in Spagna. Lui si muoveva molto già prima, attraverso le decine di città in cui esistono i centri di vendita e di ecommerce di Comfy. Nel 2014, al tempo dell’Euromaidan, il 30 per cento aveva sede fra la Crimea e i territori ora occupati. Negli ultimi mesi hanno perduto naturalmente Mariupol, Kherson, Melitopol, o, per la distruzione, Irpin, Bucha, Odessa… Ora Khyzhnyak si muove molto di più alla volta dei fronti, dove sono i suoi dipendenti, o dei luoghi in cui distribuire ciò che serve a militari e civili: fino a pochi giorni fa a Lysychansk, e ancora a Bakhmut. Un’esistenza di imprenditore mutata in una di militante. Ha un’onorificenza della Difesa, la mostra con noncuranza, penso che ci tenga. 

Immaginavi una svolta così per la tua vita? Chi poteva immaginarla, dice: ma quando succede, si diventa di colpo un altro. “Senza rinunciare a quello che si aveva, si amava. Per me la felicità, accanto alla famiglia e al lavoro, è la mia dacia. Io ho cominciato con questa azienda 15 anni fa. Avevo le mie idee sui magazzini e la loro espansione. Funzionavano. Ho potuto allargare il mio terreno un po’ alla volta, ora è abbastanza grande da permetterci di lasciare dietro di noi un parco di cui le persone potranno godere. Piantare alberi è la mia passione e il mio lusso: ne ho 35 mila, almeno 30 mila pini, almeno mille querce… E animali negli spazi che meritano”. Mi mostra le fotografie: la laguna di candidi cigni reali con la nidiata grigia, e cervi, alci, addirittura. “Ne erano rimaste solo un paio di centinaia, a causa della caccia”. 

Gli chiedo della Zaporizhia in cui è cresciuto, e che mi ha affascinato. Il culto dei cosacchi, l’isola di Khortytsia, la memoria di Makhno, il rivoluzionario anarchico, sono davvero vivi o sono folklore? Ci pensa: “Erano più che altro folklore. Ma ora non più”. L’audacia di Makhno viene oggi evocata come un esempio, ma una simpatia è durata da sempre. “E la mia nonna materna è nata lì, a Huljajpole, il suo villaggio”. E aveva dei racconti? “Poco, era gente comune, Soviet people...”. I missili Kh-22 lanciati contro il Mall di Kremenchuk contenevano più di 900 kg di esplosivo. L’esplosione avvenne in un’ora, nei giorni ordinari, di punta: le 3:54 del pomeriggio. 
 

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