
Il ministro dell'Interno Matteo Salvini a Castel Volturno in occasione del Comitato nazionale Ordine e Sicurezza (foto LaPresse)
Una crisi italiana
Non ci si sente mai così intimamente italiani come quando ci si vergogna tanto di esserlo
Ieri non c’erano i giornali e c’erano le navi e le naumachie verbali e gli sbarcati in gravi condizioni e gli imbarcati che pregavano il loro Dio di mandargli le gravi condizioni, c’era Salvini che proponeva a Di Maio un contratto che lo avrebbe incoronato presidente, altro che Caligola, c’era Di Battista che diceva che bisogna trovare altri interlocutori nella Lega, c’era Trump che vuole comprare la Groenlandia e noi abbiamo governanti che saneranno il deficit vendendo il Colosseo – o è già venduto? – e comunque la fontana di Trevi e gli Scrovegni. Cose così. Qualcuno, in qualche dibattito, si è avventurato a spiegare che il diritto del mare non si limita a dire che bisogna soccorrere chi annega prendendolo a bordo, ma bisogna anche farlo sbarcare da qualche parte. Lo sosteneva seriamente, perché gli altri sostenevano il contrario. Dopotutto, ho i miei privilegi. Ho un forte sentimento internazionalista. Umano, se preferite, sono sinonimi. E non ho niente, ma proprio niente a che fare con gli attori di questa farsa che passa per crisi di governo. Potevo starmene da parte, contento della mia nausea e della mia tristezza. Ma mi sono sentito italiano. Non ci si sente mai così intimamente italiani come quando ci si vergogna tanto di esserlo.


Piccola Posta
Se il centrosinistra confida nell'astensionismo

Piccola Posta