La vita in un attimo

La recensione del film di Dan Fogelman, con Oscar Isaac, Olivia Wilde, Mandy Patinkin, Annette Bening, Antonio Banderas

Mariarosa Mancuso

Film di nicchia. Perché di nicchia è diventato. Era partito alla grandissima: alla regia Dan Fogelmann di “This is Us” (la serie Nbc, in Italia su Fox Life, che fa piangere e anche un po’ arrabbiare, per come gioca con lo spettatore: da gente che ci sa fare, si ferma un attimo prima del ridicolo). Cast di gran richiamo: Oscar Isaac e Olivia Wilde basterebbero, ma abbiamo anche Annette Bening (ampiamente compensano il barbuto Antonio Banderas, quando dagli Usa il film trasloca in Spagna). Ambizioni sfrenate, fin dal titolo originale: “Life Itself” – “La vita stessa”. Da qui la recensione di un critico americano uscito furioso dalla proiezione per le troppe sfighe ammonticchiate nella trama: “Perché si intitola ‘Life Itself’ se crepano di continuo?”. Non si potrebbe dire meglio, son storie intrecciate attorno al tema – direbbe Joan Didion, la scrittrice californiana che sa raccontare il lutto come nessun altro – “la vita cambia in un istante”. Fin qui potrebbe andare, anche “This is Us” comincia con un pancione, son tre gemelli, e un lutto (un gemello non ce la fa, viene adottato un neonato nero abbandonato dalla madre in strada, proprio lo stesso giorno). Potrebbero andare anche gli andirivieni temporali. Ma quando l’orfana ormai cresciuta guarda da una panchina la madre che viene travolta dall’autobus, è francamente troppo. E il giochetto si ripete: Oscar Isaac assiste in sala parto alla nascita della bambina che diventerà Olivia Wilde, che poi si fidanzerà con lui, e poi distratta da un suo saluto si farà investire – più o meno al nono mese – dall’autobus fatale. Basta per irritare anche lo spettatore meglio disposto, che prima ha amorevolmente assistito a una scaramuccia tra innamorati sulla voce di Bob Dylan (la bambina sopravvissuta all’incidente si chiama proprio Dylan, poco dopo le muore la nonna e pure il cane) e a un ballo in maschera dedicato a “Pulp Fiction”. Per girare il coltello nella piaga, un intermezzo di puro narcisismo sulla teoria della narrazione: Olivia Wilde vuol fare la sua tesi sul narratore inaffidabile, come tutti noi siamo. Muore prima di scoprire che neanche sulla vita si può fare affidamento.

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