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L'intervista

La notte dei Maneskin, alle origini di un fenomeno naturale

Francesco Gottardi

Stasera apriranno il concerto dei Rolling Stones. "L'arroganza della gioventù? Giù dal palco sono tutto il contrario", dice l'organizzatore del loro primo tour "da adulti". Il sold out, gli aneddoti e una certezza: "Avevano un'idea, l'hanno portata in cima al rock"

La risposta è tutta lì: “Funzionano perché sanno abbattere le barriere in totale naturalezza”. Gotha del rock compreso: i Maneskin da Monteverde daranno il via al concerto dei Rolling Stones. Ieri fantascienza, stasera Las Vegas. Il jackpot della vita sull’onda di ottime manche – dal Tonight show di Jimmy Fallon ai teatri di Broadway e Sunset boulevard, con tanto di partita dei Lakers: alla faccia del sogno americano. “Sembra che non abbiano mai fatto altro”, con l’ironica spontaneità di chi non se l’aspetta e canta – da Mammamia, il loro ultimo singolo: All eyes on me, I feel like a superstar / I’m not a freak, I thought it was carnival. Dall’Italia invece fanno tutti il tifo. Figuriamoci chi oggi sorride e può raccontare: “I Maneskin sono diventati adulti nel mio locale”.

  

Daniele Giraldi è il proprietario dell’Afterlife di Perugia, tappa obbligata per le tournée in centro Italia – dai Negrita ai Subsonica, dai Modena city ramblers alla Bandabardò. Lì, il 18 febbraio 2018, i Maneskin si esibirono per la prima volta dopo il successo di X Factor. “Certo la tv è stata un trampolino di lancio fondamentale per una band così giovane”, spiega Giraldi al Foglio, “e noi abbiamo accettato di allestire il loro debutto. Ci siamo trovati a novembre per organizzare: fu una tre giorni pazzesca, frenetica, a stretto contatto”. Avete presente l’arroganza della gioventù? “Ecco, giù dal palco loro sono l’esatto opposto. Umili, genuini, con l’atteggiamento giusto. Ricordo che durante le prove c’era il derby: io e Damiano, romanista come me, l’abbiamo visto con l’adrenalina del caso. C’era davvero un’atmosfera leggera, nonostante le aspettative e il fatto che fossero ragazzini”. All’epoca Damiano David, Victoria De Angelis, Thomas Raggi e Ethan Torchio andavano ancora al liceo, “e solo il primo era maggiorenne”. Mentre il No filter tour di Mick Jagger e soci, oggi alla sua quartultima tappa, era appena iniziato. “Ma i Maneskin sono stati folgoranti sin da subito. Ero a sciare quando mi arrivò la notizia del sold out: non solo Perugia, ma l’intero tour, in tutta Italia, nel giro di venti minuti. Già quello era impensabile, figuriamoci il resto”.

   

Fu preso alla sprovvista anche Ethan, il batterista: “Una delle scene che mi ha colpito di più”, dice Giraldi. “I suoi genitori non erano in lista per motivi di lavoro, ma all’ultimo minuto riuscirono a fargli una sorpresa. Però non avevano il biglietto. Allora, un’ora prima del concerto lui venne da me e in modo cordialissimo mi chiese: c’è modo di farli entrare?”. Il bon ton del rock. “Capite, una quasi superstar che si rivolge così? Mi intenerì molto. Era l’espressione di una persona pulita verso un mondo inesplorato. Mi auguro che lo spirito sia ancora questo, senza perdersi in sé stessi”. E arriviamo a quella notte. “Lo show prevedeva la scaletta di X Factor”, compresa una cover di Gimme Shelter degli Stones, presagi del destino. “A un certo punto Damiano doveva fare uno sketch di lap dance a centro pista. Ma da uomo, durante le prove, roteare e strusciare sul palo faceva male: così mia moglie, che lavora in un centro estetico, gli fece una ceretta. Problema risolto, si va in scena”. Meraviglie dell’improvvisazione. “Ma comunque parliamo di un diciottenne che si butta in mezzo alla gente con un tacco 12, canta, balla e intrattiene”. È un attimo trascendere nel ridicolo: “Già. Invece lì si è vista tutta la disinvoltura e la confidenza del frontman. Li stese tutti”.

      

I Maneskin a X Factor nel dicembre 2017 (Foto Piero Cruciatti / LaPresse)

    

Due aneddoti che sono l’essenza del quartetto. “Aveva ancora tanto da crescere”, continua il gestore, “ma ha sempre avuto resa e presa sul pubblico grazie a un amalgama speciale: nessuno protagonista, eppure lo sono tutti. Con un buonissimo livello di tecnica personale, arrangiamenti sempre credibili. Quando si parla di band ci vuole equilibrio: è come un quadro a cui i singoli componenti danno sfumature e personalità multiple”. Il solco vocale di Damiano, le schitarrate matte di Thomas, Ethan distante, regista del ritmo. E le vibrazioni di Victoria: quanto spicca una ragazza al basso? “In Italia magari colpisce, ma per noi addetti ai lavori non è una sorpresa. E poi i Maneskin sono un botto generazionale, tra i primi rappresentanti pubblici del concetto di fluid: conta la persona, non il genere e lo vediamo a ogni loro esibizione”, cause you can be the beauty and I could be the monster. Va detto: mentre il Senato affondava il ddl Zan, i vestiti arcobaleno della band sul palco di New York sembravano il gesto più naturale del mondo. Una lezione alle forzature del pol. corr.: “La loro grande dote è che sono nati con un’idea, l’hanno sviluppata e portata avanti senza farsi condizionare. Ci sono riusciti. Alla faccia di chi non sapeva come definirne le sonorità: il rock è anche solo atteggiamento”.

    

Per questo, sostiene Rinaldi, sfondare in Italia era paradossalmente il passo più difficile. “E l’hanno fatto passando dalla porta principale”, Sanremo, buonasera signore e signori, tra gaffe dei presenti – vade retro Naziskin – e audience incartapecorita. “Il loro piglio è internazionale. Il loro repertorio è congeniale all’estero”, con quell’irriverenza da stornelli e il superamento della lingua come valori aggiunti: che siano testi in italiano o in inglese, che sia Roma o l’Eurovision, oggi tutti cantano i Maneskin. “Certe cose non arrivano per caso: questi ragazzi sono animali da palcoscenico, ma c’è un management di alto livello che li sa valorizzare e li segue sin dagli inizi. Dalle note alla grafica di un disco, le immagini, i costumi: è il lavoro di squadra a fare la band”.

    

Adesso arriva il bello e il difficile: “Confermarsi. La vera sfida sarà rimanere in cima senza diventare banali o eccessivamente ricercati: è tosta mantenere un prodotto con queste caratteristiche. Ma intanto hanno fatto la storia, se la devono godere”. C’è l’inchino dei Rolling Stones, what else. “Mi piacerebbe che un giorno mi chiamino e si ricordino della loro prima all’Afterlife. Magari per un secret concert: organizzare altro ormai sarebbe impossibile”. Mai dire mai allora: è il terreno di gioco dei Maneskin.

    

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