Da sinistra Claudio Baglioni, Virginia Raffaele, Mahmood e Claudio Bisio (foto LaPresse)

Vince Mahmood. E Sanremo diventa un quattro marzo un po' per tutti

Simonetta Sciandivasci

Salvini twitta “io avrei scelto Ultimo”. Il voto popolare sta dalla parte del vicepremier. Ma le giurie degli esperti preferiscono il rapper di “Soldi” che, inaspettatamente, trionfa

Canzone italiana. Matteo Salvini non ha gradito. Avrebbe voluto che vincesse Ultimo e non ha mancato di scriverlo su Twitter, felpando la sua motivazione in modo che rimanesse evidente la ragione della sua perplessità. Ovvero: ma questo qua che ha vinto non mi sembra italiano italiano, non trovate anche voi? Gli italiani, per l’ennesima volta, la pensano come Salvini: ci fosse stata la democrazia diretta, Mahmood sarebbe forse arrivato secondo, o terzo. I numeri parlano chiaro: il voto popolare ha premiato “I tuoi particolari” di Ultimo; le giurie degli esperti hanno preferito “Soldi” di Mahmood. La casta, per dir così, ci ha tenuto a illuderci che in Italia non ci sia un problema di razzismo (fosse vero, il bravo Mahmood non avrebbe dovuto neppure pensare di mettersi a precisare ai microfoni di essere “italiano al cento per cento”); a dirci che Sanremo non è più un “tempio della conservazione”; a salvarci da Il Volo. A cosa servono gli esperti? Ogni tanto, al merito. Ultimo, in sala stampa, ha chiamato Mahmood “ragazzo”, come fa tuo padre quando non gli piace tuo marito, e ha anche detto che mentre molti giornalisti scrivevano, in questi giorni, che il festival lo avrebbe vinto lui, si grattava. L’armonia tra Salvini e paese reale eccola qua. L’élite ci ha salvati anche da questo.

 

 

 

L’élite, soprattutto, ha coronato alla perfezione gli sforzi delle due edizioni di Baglioni: ampliare la definizione di “canzone italiana”, gettare nella pattumiera il mazzolin di fiori.  

Sono rimasti in fondo alla classifica alcuni preferiti dal pubblico, l’Ariston ha fischiato come fosse una curva di romanisti, acclamando Loredana Bertè, vincitrice di consenso dalla prima sera, da prima di cantare. Cristicchi e Silvestri hanno portato a casa le targhe (tante, troppe, ci sono più targhe sanremesi che province in questo paese) della critica, com’era prevedibile e in fondo giusto: non vorremo diventare improvvisamente un paese che lascia a mani vuote gli artisti della moralità. E’ stato un quattro marzo un po’ per tutti. Ha vinto un ragazzo inaspettato, benché il nostro vicepremier non ne sapesse il nome e neppure il paese.

  


 

Da sinistra Il Volo, Mahmood e Ultimo (foto LaPresse)  


 

Esultare. Mentre Baglioni e copiloti caricavano l’atmosfera di suspense, simulando emozione e nervosismo, i finalisti sul palco sembrava fossero in fila alle poste (notazione a margine: sommando gli anni di tutti loro, s’arriva più o meno all’età di Baudo, vi basta per piantarla con la lagna  dell’Italia che non premia i giovani?). Ultimo, vestito con un completo carta da zucchero e t-shirt bianca sotto la giacca (tenuta da post cerimonia di prima comunione a Battipaglia), non ha mai tolto le mani dalle tasche. I tre del Volo roteavano gli occhi come quando devi fare la pipì e non puoi perché ti stanno interrogando. Il vincitore, ancora ignaro, era immobilizzato. Quando Baglioni ha fatto il suo nome, s’è svegliato, frastornato, incredulo, ha detto ma davvero, allucinante, incredibile e ci è mancato poco che dicesse ma siete sicuri di non esservi sbagliati? E' stato allora che, per la prima volta in cinque infinite sere, un cantante in gara ci ha strappato una lacrima.

  


    

Achille Lauro (foto LaPresse)


 

Buone maniere. A Bastianich qualcuno deve aver fatto notare che se risiedi nella giuria del festival della musica italiana, quando il pubblico ti fa l’applauso è il caso che ti alzi in piedi e ringrazi, quindi non ha replicato l’inqualificabile scenetta di due sere fa, quando era rimasto seduto come Salvini davanti a Mattarella. S’è tirato su, ma è rimasto col cappello in testa e gli occhiali, che è una cafonaggine ancora peggiore. La targa del più educato e a modo e perbene va ad Achille Lauro, il quale non solo non ha alzato il dito medio contro nessuno di quelli che gli hanno rotto le palle accusandolo di plagio degli Smashing Pumpkins (ieri poi ci si sono messi pure degli sconosciuti mitomani dell’indie romano a dire che Lauro li ha scippati), non solo non ha mandato al diavolo chi lo ha accusato di aver portato al festival una canzone che indurrebbe all’uso di mdma, ma quando ha finito di cantare la sua splendida “Rolls Royce”, ha detto al pubblico: “Signore e signori è stato un onore stare con voi questa sera”. E s’era anche vestito elegante, e con le scarpe buone, perché questi ragazzini che secondo Daniele Silvestri si pentono di nascere, hanno più uso di mondo di quelli coi quali lui s’è prestato a duettare. Achille Lauro l’argento vivo ce l’ha addosso, e pure gli altri del futuro, Carta e Shade, anche loro educati e bravi (ma malvestiti, almeno malvestiti).

 


 

Virginia Raffaele (foto LaPresse)


 

Le scoppiate. Virginia Raffaele ha ingranato. Ieri è stata complice del pubblico, ha strappato risate senza scostumatezze, elargito occhiolini agli artisti in gara (persino a Renga, reduce dalla polemica persino più scema di quello he ha detto lui per scatenarla e cioè che a Sanremo ci sono meno donne perché gli uomini sono più bravi). Ha imitato Mannoia e ne ha fatto il ritratto definitivo: una che mentre canta “che sia benedetta” dà al pubblico la benedizione che si dà alle salme. Ha disarcionato Patty Pravo da Serena Dandini dicendole, con la voce di Ornella Vanoni, “Amore non puoi attaccare la pippa a tutti”. Sempre imitando Ornella, ha concluso il suo medley di cantanti italiane riproponendo il capolavoro del festival, quel “sono venuta gratis ma che non diventi un’abitudine” con il quale la Signora di Tutto s’è congedata dallo stesso palco qualche sera fa.

Arisa ha urlato, steccato, sudato, mezzo pianto, mezzo riso, mezzo chi lo sa, io sto bene, io sto male, io non so come stare. Turci s’è presentata con una minigonna vertiginosa che le stava d’incanto e il tempio della conservazione le è crollato ai suoi piedi.

Bertè è stata strepitosa, ci ha detto “vi amo” come difficilmente ci verrà detto ancora, soprattutto in privato. Le ragazze sono aiuole da non calpestare. E di notte s’accendono.

 


   

Loredana Bertè (foto LaPresse)


 

Noi non ci saremo. Baglioni e i suoi “telecomandanti” hanno ripetuto diverse volte che l’anno prossimo chi lo sa cosa accadrà, e cosa sarà, e fosse anche l’ultima cosa che faccio qui, e così e cosà. Liberi, finalmente. Perché la libertà è non sapere cosa sarà di te domani e, come ha detto Anastasio, essere sicuro di essere insicuro. Il presidente della Tim, salito sul palco per premiare Ultimo che è stato il più ascoltato su internet, è stato il solo a dire: “Noi l’anno prossimo ci saremo”. Convinto. Granitico.

  

 

Non son finito sai. Elisa, super ospite (ma proprio super super) ha cantato “Vedrai vedrai” con Baglioni. Si sono guardati negli occhi tutto il tempo, riempendo i nostri di pianto, di quella tenerezza. E speranza. E attesa. Perché vedrai, vedrai che cambierà. Un bel giorno cambierà.